Miei cari, affezionatissimi lettori,
– mi rivolgo ai superstiti che ogni tanto tornano a curiosare in questo blog –, dopo oltre un anno di silenzio ecco che riprendo a scrivere qualcosa. Lo faccio per ospitare un giovane amico, uno studioso serio e promettente, che ancora conserva in sé un appassionato, acceso, intenso amore per la “Verità”. Faccio questo assai volentieri, anche se si tratta di un argomento molto particolare, perché sono convinto che in questo nostro declinante paese, se vogliamo sperare in un futuro comune – il solo che potrà consentirci di uscire dal coma – dobbiamo riuscire ad affrontare, al presente, la ricerca di una “verità” condivisa sul nostro comune passato.
Il processo attraverso cui la Storia “purifica” e semplifica, e riduce a grandi, intelligibili “schemi” chiarificatori è lungo, difficile, assai travagliato. Ma codesta purezza semplificatrice, di limpida intelligibilità è possibile solo a condizione che nella mente dello storiografo riesca a formarsi il necessario concetto: l’idea che “descrive” in quanto riesce a “digerire” la molteplicità – talora contraddittoria – dei fatti, dei particolari, degli infiniti accidenti in una visione che aspira ad una misura universale. Così c’è Guicciardini che scruta e c’è Machiavelli che sogna e respira grande e ammaestra gli uomini a rendere quel sogno possibile.
Con l’augurio di un proficuo lavoro a Marco Petrelli e un ringraziamento caldo alla Vostra paziente indulgenza,
Vi saluto,
b.s.
San Martino, 27 febbraio 2012
da
http://www.rinascita.eu/index.php?action=rubricanews&id=12055
di Marco Petrelli
Eugen Delacroix, Il massacro di Scio, 1823
Periodo non facile per la ricerca storica a Terni. Dopo il convegno di Pietro Cappellari (Istituto storico Fondazione RSI) e del Centro Studi Nadir, il 4 giugno, il passato resistenziale del ternano è stato posto sotto analisi e scandagliando documenti d’archivio, sono emerse circostanze e vicende ben poco onorevoli: ritorsioni e violenze dei partigiani comunisti ai danni di civili, come la giovanissima Iolanda Dobrilla, sedicenne violentata e fatta saltare in aria con una bomba a mano.
Ricerche che si affiancano alle pubblicazioni di Marcello Marcellini, l’avvocato locale che, negli ultimi due anni, ha dedicato tre volumi (l’ultimo in uscita) alla Brigata Garibaldina “Antonio Gramsci”, ricostruendo episodi dimenticati e ridimensionando gli eventi affrontati dalla storiografia resistenziale, negli ultimi 60 anni.
Alle proteste dell’ANPI, geloso custode di un’identità storico-politica che pare inviolabile, si aggiungono le intimidazioni rivolte al Marcellini, il quale è stato oggetto anche di una scritta, a caratteri cubitali, sul muro della biblioteca comunale.
Così come nella serie televisiva Ai confini della realtà (poi fortunata pellicola di John Landis), si è creata una situazione molto border line, con sindaco, assessore alla Cultura e Capogruppo di Rifondazione comunista in Regione che, anziché prendere le distanze da atteggiamenti poco civili, si scagliano pubblicamente contro studi storici, trattando la materia come qualcosa di strumentale ed infondato.
Compiamo un breve excursus, per avere un’immagine più chiara della situazione. Nel mese di giugno Nadir e Cappellari rendono pubblici documenti dell’Archivio centrale di Stato del 1939, nei quali i futuri capi della formazione partigiana Antonio Gramsci compiono atto di sottomissione a Benito Mussolini, chiedendo la grazia per un arresto e una detenzione preventivi, in occasione della visita di Adolf Hitler in Italia. Sorpresi a distribuire un giornale clandestino, i dirigenti della cellula comunista che fa capo a Claudio Bracci finiscono dentro, per poi essere di lì a poco scarcerati per insufficienza di prove. Ma non vi sono soltanto atti di sottomissione tra le carte d’archivio: da alcuni documenti emerge il proposito di divenire informatori della Questura e della polizia segreta. Nel volume di Mauro Canali e Sara Galli, Le spie del regime,(Mulino 2004), gli autori pubblicano in appendice un elenco fino ad allora inedito, contenente più di 600 nomi di informatori e delatori.
Tra questi anche i futuri capi della Gramsci e poi del Pci ternano nel dopoguerra.
Quindi, verso la fine di agosto su Il Fondo di Miro Renzaglia, è apparso l’articolo Falsi storici. Quei fascisti fatti passare per partigiani. Vi si denuncia la presenza di almeno quattro nomi di repubblichini sulla lapide dedicata ai caduti della Resistenza, affissa al muro di Palazzo Farini, pieno centro di Terni. Fucilati per errore dai tedeschi dopo una delazione a scopo di lucro, quei morti fascisti non furono rivendicati dalle famiglie, bensì ‘recuperati’ dai comunisti nel dopoguerra ed inseriti tra le “proprie” vittime della guerra civile. Oltre a scolpire i loro nomi sul marmo, gli storici degli anni cinquanta li descrissero come fiancheggiatori dei partigiani. Peccato che, uno come Ugo Tavani, fosse tutt’altro che antifascista, essendo stato ufficiale medico della Guardia Nazionale Repubblicana e prefetto fascista di Leonessa (RI).
Poi l’estate e, a settembre, altre novità. Un’associazione di ex ultras locali denuncia il vilipendio ad una lapide sui monti di Polino. Ghiotta occasione per un nuovo attacco al revisionismo. Damiano Stufara, capo gruppo del Prc in Regione Umbria, così sentenzia: “(Vigilare) affinché non siano concessi luoghi o palazzi istituzionali alle manifestazioni delle associazioni che si richiamano all’ideologia fascista. [...] E a non rileggere il passato diversamente da quanto la storia ufficiale ha sancito”. Più o meno la ripresa del dogma già espresso dal sindaco di Terni Leopoldo di Girolamo che, a inizio diatriba, il 13 giugno di quest’anno aveva solennemente dic huiarato: “Furono i partigiani e i combattenti alleati che liberarono la nostra città dall’oppressione nazifascista e dagli orrori della guerra, e questo dato di fatto inoppugnabile nessun revisionismo storico più o meno attendibile e interessato potrà mai cancellarlo dalla nostra memoria condivisa”.
Pietra tombale – verbale – sulla possibilità di qualsiasi forma di dissertazione storica su un evento sul quale ancora c’è molto da discutere, a partire dalle considerazioni degli inglesi dell’VIII Armata che sottolinearono come la Gramsci fosse entrata a Terni solo alcuni giorni più tardi.
La ricerca storica viene dunque infilata in tinture di colore politico, con i revisionisti “neri” da un lato e custodi della memoria (rossi) dall’altro. Una manovra mirante ad isolare l’opera di storici in buona fede tacciandoli di essere asserviti a logiche sporche, di partito o più semplicemente d’essere un circolo ristretto di accaniti “nostalgici”. Ma soprattutto una manovra col fine di isolare e mettere nell’angolo una pratica di ricerca storiografica. Come dichiarato dall’assessore alla cultura Simone Guerra “il solco storico e culturale di Terni che non può essere soggetto a facili revisionismi e a riletture storiche di parte”. E così il pregiudizio diventa dogma perché un ambiente cittadino, politico e culturale, resta determinato a tenere salda una memoria preconfezionata, saldamente legata ad interessi di controllo di una popolazione che, dalle aule scolastiche ai luoghi di lavoro, è soggetta ad un processo di spersonalizzazione e di educazione coatta, spingendo. La ricerca di una verità diversa da quella profilata da intellettuali e studiosi di partito è severamente vietata.