sabato 16 maggio 2009

Divagazioni primaverili






Ho imparato ad essere paziente. E cerco pure di essere tollerante con gli altri, anche quando sono un po’ molesti. Fare e rifare le cose, forse in cerca di una irraggiungibile perfezione non mi spaventa punto. Anche il “tempo”, che generalmente come fattore sottovalutiamo ha la sua importanza: una grande importanza. E quello che ci appare oggi insormontabile molto spesso si segmenta (l’unità infatti che il pensiero attribuisce immediatamente alle cose è data spesso da una molteplicità di elementi), si distribuisce in un arco temporale che consente di risolvere agevolmente i frammenti che via via si presentano. Occorre saper aspettare.
Ho sempre pensato (semplificando) che la Politica – che continuo a scrivere con la maiuscola – avesse come compito il trovare risposte (preferibilmente le migliori possibili) ai bisogni della società. Quindi il fine della Politica è il “bene” della società. Così ho spesso fantasticato (riconoscendo, o meglio avendo consapevolezza che un conto è l’idea o il desiderio che noi abbiamo della realtà e altra faccenda è la realtà medesima) che conseguentemente la Politica avesse bisogno dei migliori, ovvero dei più capaci e preparati, dei più sensibili e attenti, dei più onesti, per meglio realizzare codesto bene della società, che è nel suo fine, che cioè ne costituisce l’essenza, e senza il quale di essa non vi sarebbe bisogno. Ma vedo all’intorno, anche localmente, superficialità, approssimazione, incompetenza (e intendo limitare assai la severità del giudizio).
Vedo purtroppo che tutti o quasi disattendono codesto fine della Politica, sostituendolo con altri, e rendendo il bene della società un fatto incidentale: una sorta di pretesto. Ciò hanno fatto le amministrazioni di Sinistra che ho all’intorno, rapinando per decenni selvaggiamente il patrimonio pubblico; ciò mi mostra la Destra, che fino dai presupposti pre-elettorali vedo incapace – assolutamente (anche di quella minima organizzazione, di quella coesione interna, di quel minimo affiatamento, del necessario – anzi indispensabile – senso di sacrificio) – di affrontare con i requisiti occorrenti il governo della cosa pubblica. Ma forse il disgusto per gli attuali “padroni”, dopo sessant’anni di nepotismi e altre faccenduole più o meno private, porterà la Destra lo stesso alla vittoria. E ben poco potrà codesta raffazzonata compagine politica, vuoi per l’incapacità che dicevo prima, vuoi per la voragine che si troverà innanzi.
Pensavo alla “ragion di stato”: un concetto che mi par sempre essere staro usato negativamente, quale sorta di soppressore di diritti legittimi e libertà. Vorrei che invece qualcuno lo usasse oggi in senso opposto. Cioè intendo dire che essa, la “ragion di stato” appunto, dovrebbe indurre a sacrificare il proprio “particulare”, il proprio egoismo, parte delle proprie ambizioni (peraltro necessarie e talvolta più che legittime), per indurre a pensare più in grande, o fino anche nel più piccolo aspetto organizzativo (che risulta assai necessario pure quello), a pensare principalmente al modo migliore per meglio realizzare il “bene” della comunità. Ma codesta “ragion di stato”, o più poveramente “dovere” per chi si accosta alla cosa di tutti, quella cosa (che appunto essendo di tutti non parrebbe di nessuno) che andrebbe trattata invece con le premure, le preoccupazioni e i timori con cui si avvicina un bimbo appena nato, dovrebbe essere il primo pensiero. Non è così?

Varie cose importanti e tristi mi tengono lontano dal blog, ma vedo, non senza un certo stupore, che molti continuano a visitarlo, forse per vedere soltanto se c’è qualcosa di nuovo. Di ciò li ringrazio caldamente, sperando che le circostanze mi consentano nuovamente l’impegno assiduo di qualche tempo fa.
Ho comunque trovato il modo di fuggire dai problemi quotidiani (anche la mente ha bisogno di riposo, di ossigeno). Ho percorso tre volte a fila (in giorno diversi, ma abbastanza ravvicinati) il medesimo sentiero di montagna: più o meno una traccia che via via ho potuto meglio individuare, grazie anche al disgelo che ha tolto sempre più neve. Così posso dire di aver in certo qual modo inseguito l’inzio della primavera; di aver inseguito la copiosa varietà di profumi che col caldo via via è salita di quota, ed ho visto anche il dischiudersi delle gemme: dalle prime incerte foglioline ancora rattrappite alle più ampie, ma ancora seriche e lievi foglie del faggio, ogni giorno di un verde più intenso. E fossetti e torrentelli, e acque gorgoglianti di spuma, e muschi e fiori: da quelli colorati, spavaldi e odorosissimi dei giardini, a quelli più rari, minuti e preziosi che si trovano all’improvviso sui crinali da poco liberi dalla neve. E le sorgenti: quante sorgenti! Era il maggio odoroso, scriveva Leopardi. Da giovani, presi da mille e mille cose non si fa punto caso agli odori, ai profumi. Si sentono, ma non si fa caso: si tira di lungo, ma ora si rammentano. E ti riportano addietro nel tempo. Li riconosci, li senti: le acacie, i maggiociondoli, il sambuco, il biancospino eppoi tutti quei fiori. Odori di donna, di gioventù. D'inebriante turbamento.

Ho toccato l’acqua di un fossetto. Era fredda. L’ho sentita continuare a carezzarmi la mano. Ho rammentato: “l’acqua che tocchi – scriveva (all’incirca) Leonardo –, è l’ultima di quella che è passata e la prima di quella che deve venire”. E’ vero, ho pensato, ma vale per un sacco di altre cose: anche i giorni, i mesi, gli anni (guarda che appunto i Romani ci avevano inventato Giano bifronte). Ci sarebbe da stancarsi a trovare esempi. Da ultimo concludi che si tratta di una osservazione banale. Ma poi ho ripensato all’Attualismo del Gentile. Questione seria. Per nulla banale. In sostanza – se ben ricordo – per il Gentile l’unico pensiero che esiste veramente è il pensiero che si pensa: ovvero l’atto del pensare (da cui Attualismo), ovvero la vita stessa del pensiero; il presente, l'eterno presente. Fuori da questo pensiero presente (in atto) ogni pensiero ( pensato) decade a fatto: una specie di cosa morta, che si ravviva solo pensandolo di nuovo, o incontrandolo nella nostra vita spirituale come nuovo pensiero. Così, per esempio, è di un libro, il cui contenuto c’è, sì, ma è come se non esistesse affatto fin tanto che non vive dentro noi attraverso la lettura. E allora da costì ho immaginato che anche tutti i fatti della storia, sono fatti finiti, e hanno tutti il medesimo valore di fatti. Così le Crociate, la battaglia di Lepanto, o le Guerre Puniche, o la Guerra Gallica, o la celebratissima Resistenza. (Tutti come l'acqua passata). E che forse alcuni di codesti fatti chi paiono più vivi (ma sono tutti stramorti ugualmente) per il fatto che possiamo “vestirli” con più particolari, per il fatto che ad essi sono ancora legati affetti, memorie... Ma il tempo – parafrasando –, con la sua forza operosa affatica tutte le cose, e le involve nell’oblio della sua notte. Ma su questa via il pensiero va a rotta di collo, ed io cari amici, non intendo tediare nessuno. Ciascuno penserà ciò che più gli piace.
E vorrei vedere!

Bruno Stepic

San Martino, 16 maggio 2009, S. Ubaldo Vescovo (Patrono di Gubbio)
I dipinti riprodotti sono di Giovanni Boldini
( ... )
P.S. Aggiungo: nel ritratto in alto, ovvero l'uomo con l'occhio bendato, è rappresentato Beppe Abbati (l'occhio l'aveva perduto a Capua, con Garibaldi). Si tratta di uno dei più bravi - fidatevi del mio giudizio - pittori (cosiddetti) "Macchiaioli". Purtroppo tanto sfortunato quanto gentile, sensibile, buono, ma principalmente Pittore (che scrivo con la maiuscola dato che merita pienamente l'appellativo, al pari di altri maestri universalmente più conosciuti e fortunati). E' un artista di cui, anche perché morto giovane, si conoscono poche opere, ma tutte di elevata qualità. Io lo amo profondamente: molti anni addietro divenne il protagonista di un mio lungo racconto, che due o tre persone soltanto hanno letto (noiosissimo), e che nessuno probabilmente più leggerà. Costì ebbi ad indagare il personaggio, l'opera, la vicenda umana. Costì presi ad amarlo di quell'amore paterno- fraterno-filiale, che trascende le ristrette contingenze di tempo e di luogo: un poco come quello che permetteva al buon Machiavegli di dialogare... nella lettera altrove richiamata nel blog.
Qua mi fermo, avendo detto anche troppo. Se qualcuno fosse interessato, in rete può trovare qualche riproduzione. E se ne può riparlare,... Bruno

domenica 3 maggio 2009

da Il Giornale del 29 aprile 2009

propongo oggi, senza commento, un ottimo articolo di Massimo De Manzoni

Secondo i pm quel gioielliere si è difeso troppo
Di Massimo De Manzoni
Il Giornale, 29 aprile 2009 (http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=347534&START=0&2col=)



Allora ditelo. Spiegate a tutti che in Italia la legittima difesa non esiste, abolita d’ufficio dai magistrati. Così almeno sappiamo, ci mettiamo il cuore in pace e non ci pensiamo più. Sì, perché se anche Remigio Radolli finisce indagato, significa che in questo Paese difendersi dai banditi, senon è ancora vietato, è quanto meno fortemente sconsigliato. Per capirci, Remigio Radolli è quel gioielliere di Cinisello Balsamo, nel Milanese, che il 16 aprile scorso reagì a una selvaggia aggressione a scopo di rapina sparando tre colpi di pistola che ferirono (non uccisero: ferirono) uno dei malviventi.
Forse lo ricorderete: le foto del volto devastato e sanguinante di quest’omone di 59 anni finirono sulle prime pagine di tutti i giornali. O meglio, di tutti meno tre: il Manifesto e Liberazione decisero di non dare neppure la notizia; l’Unità scelse di non pubblicare l’immagine: troppo pericolosa, parlava più di mille articoli e non era funzionale all’automatica e implicita condanna dei negozianti-pistoleri. E poi, i rapinatori fossero almeno stati dei ragazzotti italiani figli di buona famiglia. Macché, erano albanesi. E per di più clandestini. Quindi, un pezzo a pagina 14 (con rituale attacco al centrodestra «che specula sulle paure della gente») e poi via, verso nuove e più esaltanti avventure. Non è noto se il pubblico ministero che ha iscritto Remigio Radolli nel registro degli indagati per eccesso di legittima difesa, la dottoressa Stefania Di Tullio, sia un lettore di uno di questi tre giornali. Magari no, magari li aborrisce. Ma è certo che nella magistratura italiana, cosìcomenellasinistra,ilconcetto che una persona ha diritto di difendere se stessa, i propri cari e i propri beni fa una maledetta fatica a trovare cittadinanza.
Nel caso in questione, il gioielliere non ha inseguito i rapinatori fuori dal negozio per sparare loro alla schiena. Non ha neppure ingaggiato con loro una sfida, risultando il più veloce (cosa che peraltro, davanti a un’arma spianata, riteniamo perfettamente lecita). No, prima di fare fuoco, si è fatto massacrare. Il giovane albanese, Blerim Mani, 25 anni, l’ha ripetutamente colpito alla testa, al volto e al torace con la pistola che brandiva.
«Una violenza inaudita», come hanno scritto i carabinieri nel loro rapporto, che ha lasciato tracce vistose: 18 punti di sutura, un occhio tumefatto, uno zigomo fratturato, un paio di costole incrinate. Solo dopo (dopo) aver subito tutto questo, il commerciante è riuscito a mettere le mani sulla sua calibro 22, regolarmente denunciata, e a salvarsi la pelle. Se non è legittima difesa questa! E invece no: ha ecceduto, va indagato. Perché?
Dice: ma il povero albanese aveva una scacciacani e Radolli colleziona armi, è un esperto, doveva rendersi conto che lapistola del bandito era finta. Certo, semplicissimo. Vi stanno rovinando di botte e voi vi concentrate sulla canna della sputafuoco: «Ma guarda te, questa non è una vera Smith &Wesson. No, no: la zigrinatura è diversa. Beh, allora...». Allora, tranquilli. E che importa se quell’«arma giocattolo», come la definisce bonariamente l’Unità, viene adoperata come un martello per spaccarvi in due la testa.
E qual è il problema se tra un attimo chi la impugna aprirà la porta del negozio al complice che è rimasto fuori e che è ansioso di menare un po’ le mani anche lui. Surreale? Magari. E comunque, nel dubbio si indaga. Caro lei, sembra legittima difesa, ma potrebbe esservi eccesso: vai con l ’ a v v i s o , vai col marchio. «Un atto dovuto »,si affrettano a spiegare. Come no. «È per tutelare il gioielliere», aggiungono. E c’è bisogno di dirlo? Del resto anche voi non vi sentireste meglio garantiti una volta che il vostro nome figurasse nel mitico registro degli indagati? Beh, sì, c’è la seccatura della vostra reputazione, però in cambio siete salvaguardati.
Ah già e poi quella cosuccia che dovreste prendervi un avvocato. E pagarlo, visto che siete persone perbene. Fa niente, no? E vi disturba se nel frattempo vi impediamo di lavorare? No, perché naturalmente la gioielleria resta sotto sequestro: siete un indagato, perbacco, mica un cittadino qualsiasi. Incredibile? Purtroppo no: le cose stanno esattamente così. E questo nonostante la legge in vigore, opportunamente modificata dal Parlamento nel febbraio 2006, durante il precedente governo Berlusconi, stabilisca che non è punibile chi usa «un’arma legittimamente detenuta al fine di difendere la propria o l’altrui incolumità e i beni proprioaltrui,quandovi è pericolo di aggressione».
A Cinisello Balsamo non c’è stato «pericolo di aggressione». C’è stata un’aggressione talmente brutale che il responsabile è accusato di tentato omicidio. E Radolli è molto semplicemente quello che stava per essere ammazzato, la parte lesa come suggeriscono i giuristi, e solo a questo titolo dovrebbe entrare nel processo. Invece è indagato. E nei tribunali ti raccontano la favola bella che non si poteva fare altrimenti, che la legge non consente altro mezzo per compiere determinati accertamenti, che loro non ne hanno colpa e che casomai si dovrebbe cambiare il Codice. Finché non trovi un magistrato che esce dal coro e, come fa Maurizio Laudi intervistato in queste pagine, spiega chenonè affatto vero. Che non c’è proprio nulla da cambiare se nonla testa di qualche collega. Grazie, procuratore. Che il re fosse nudo, la gente che usa un po’ di buon senso l’aveva sospettato, per così dire. Ora sa che non era una allucinazione.