domenica 29 marzo 2009

Quando il consiglio tra gli uccei si tenne






Trionfo? Di cosa? Sono sinceramente sconcertato. Confusione. Proprio un gran casino! Sinceramente uno dovrebbe comprarsi una canna da pesca, un seggiolino, trovarsi un ameno laghetto e, immerso l’amo nell’acqua (amo assolutamente spoglio, dato che non vedo il motivo di rompere i coglioni né alle larve né a quei poveri pesci, che fra tutte le creature sono proprio i meno molesti), nell’attesa che il nulla si compia, darsi magari ad una buona lettura.
Leggo grandi palusi a Fini, anche nella sinistra più estrema. Complimenti! Il guaio è che lo applaudono anche nella sua ex destra. Ex destra, sì, dato che la Destra non c’è più, se non nell’assurdo anacronismo di certe posizioni di retroguardia, senz’altro politicamente irrilevanti. E certo Fini non ha più nulla della destra. Pare Craxi. Ve lo immaginate un Craxi applaudito da tutti: incredibile! E allora che dire, cosa argomentare. Io credo si sia nella follia. Non tanto per Fini, che senz’altro può fare ed assumere tutti gli atteggiamenti che vuole, bensì nella confusione all’intorno. Nell’incapacità della gente di comprendere che certo non rappresenta più contenuti e valori di Destra, e che quindi chi crede in codesti valori non ha più alcuno motivo di sostenerlo. La cartina di tornasole è l’apprezzamento che il personaggio incontra a sinistra. Basta guardarsi intorno (anche nei vari forum politici). Un Craxi che vuole andare nel Partito popolare europeo!
Devo riconoscerlo: Fini ha compiuto un vero e proprio capolavoro (anche se non so quanto potrà durare). Un capolavoro di trasformismo, degno di Houdini, il grande mago! Riuscire ad accontentare tutti (o quasi) in una situazione così caotica e contraddittoria, così politicamente difficile è controversa è un vero e proprio capolavoro. Mi immagino che la gente, come sempre del resto, creda in ciò vuole, ovvero ciò che desidera credere. Impossibile smontare nelle persone la fiducia che ripongono in quello che credono, se vogliono crederlo. Almeno fin tanto che, come accade di certi mariti per certe mogli e viceversa, non si svegliano un mattino e scoprono che la realtà è ben diversa dal “sogno” che finora avevano voluto sognare. Ma tant’è!
È così che il Nulla, se uno è così geniale da confezionarlo, così abile da incarnarlo e recitarlo è il “prodotto” ideale, dato che ciascuno, com’è per i prodotti di mercato, ma più com’è per il mistero dell’arte, riesce a vedervi ciò che vuole, ciò di cui ha bisogno, ciò che egli stesso contribuisce largamente a realizzare riempiendo gli spazi lasciati vuoti o appena appena accennati dall’artista. Il massimo del risultato quell’artista lo raggiunge quando tutti, a tutte le latitudini (in questo caso politiche), riescono a completare l’opera, a completare il non detto secondo le proprie aspettative ed a farlo “proprio”. Ecco allora toccato quell’acme in cui l’arte diviene universale. Ecco. Sì! L’arte per diventare universale – rammento – deve, come sosteneva Arthur Schopenhauer, aspirare alla condizione della musica, ovvero alla di lei astrazione, ovvero perdere o rinunziare a quel contenuto di oggettività che è proprio delle altre arti (questo prima, certo, dell’astrattismo). Ora, codesto nulla si può confezionare anche attraverso l’affermazione di una molteplicità intrinsecamente contraddittoria, ovvero quando o dove c’è tutto ed il suo contrario.
Codesto caso è Fini. Sì, Fini è riuscito nell’impresa di confezionare l’astrattezza del nulla e far credere a tutti che quel nulla sia quel tutto o quasi che loro desiderano. Speriamo per lui (si fa per dire) che il castello di carte che va costruendo sia ben riparato dagli spifferi.
Se poi l’individuo riuscirà a catalizzare su sé, trasformando in simpatia tutto l’odio che nel paese viene provato per Berlusconi, realizzerà un vero e proprio capolavoro.
Mi viene a mente, fra le Rime di Dante, una fra quelle di dubbia attribuzione. Ve la propongo, dato che calza a pennello. Almeno mi pare.

LXXX



Quando il consiglio tra gli uccei si tenne,
Di nicistà convenne che
Ciascun comparisse a tal novella;
E la cornacchia maliziosa e fella
Pensò mutar gonnella,
E da molti altri uccei accattò penne;
E addobbossi, e nel consiglio venne:
Ma poco si sostenne,
Perché parëa sopra gli altri bella;
E l'un domandò a l'altro: "Chi è quella?",
Si che finalmente ella
Fu conosciuta. Or odi che n'avvenne.


Che tutti gli altri uccei le fur dintorno
Sì che sanza soggiorno
La pelar si ch'ella rimase ignuda;
E l'un dicëa: "Vedi bella druda",
Dicea l'altro: "Ella muda";
E così la lasciaro in grande scorno.
Similemente divien tutto giorno
D'uom che si fa adorno
Di fama o di vertù ch'altrui dischiuda,
Che spesse volte suda
De l'altrui caldo tal che poi agghiaccia.
Dunque beato chi per sé procaccia.

Bruno Stepic
San Martino, 29 marzo 2009, V di Quaresima
Nell'immagine Ehrich Weisz, alias Harry Houdini
...
P.S. Forse ho esagerato col paragone. Guardando la foto ho osservato che l'espressione di Houdini è senz'altro assai più intelligente (e ispira molta simpatia).

martedì 24 marzo 2009

una canna








Non è punto vero, quello che dicono i detrattori, cioè che Fini, quel giorno, all’incirca a mezzodì, cedette al ricatto del Berlusconi. Non è punto vero che ebbe paura di sparire dalla scena politica. In verità fu tutt’altra cosa. Fu questione di attimi. La sua vita cambiò. C’è chi dice che per via dell’aura berlusconiana, chi per l’aria intrisa di mistica trascendenza inalata al di lui cospetto. Chi dice per una canna... o per due piste troppo ravvicinate. Certo fu una visione (quasi sovrannaturale): d’un tratto, come Paolo quando folgorato cadde da cavallo, Fini cominciò a intravedere il futuro dell’Italia (niente di male o di cui preoccuparsi troppo. Del resto era già successo ad altri prima di lui. E rammentò subito Garibali. Ma anche altri). Già, il bene degli italiani: un bene che passava, doveva passare attraverso il sacrificio della Destra per la nobile causa. Un po’ come il Cristo. Il sacrificio per la salvazione. Di tutti. Amen.
Io rammento, da ragazzo, una piccola folla intorno ad un camion dal quale un abile paroliere intratteneva gli astanti: naso in su, bocca spalancata, occhi sgranati: – Non ve lo dò per diecimila... non per cinquemila... non per tremila... ma... ma... per mille ve ne dò addirittura due! E un piccolo regalo (si trattava di un pacco, bello e sigillato, che ogni tanto ad effetto veniva scartato fra l’esclamazione di meraviglia degli astanti. Sedotti dalla parola, sedotti dall’ “incantatore” (non buono, ma abile: pareva un di quelli della televisione, tipo la Marchi, o l’altro, con le corde vocali danneggiate, per intendreci), cacciavano i soldi, e quindici giorni dopo erano di nuovo tutti lì. Con la casa piena di inutili soprammobili: paccottiglia di nessun valore. E rammento pure certe colonnine, per soprammobili o vasi da fiori, vendute porta a porta: gesso scagliola tinto (male) a finto marmo... Come rammento i venditori di tappeti, di argenteria (si fa per dire), insomma ogni sorta di bricconi da strada di campagna (cugini dei ladri di polli).
Mi domando: chissà come mai pensando a Fini o scrivendo di lui mi viene a mente codesta genia!
Ma adesso torniamo alla realtà!
Io non credo ad una sola parola di quelle pronunziate da codesto signore due o tre giorni fa all’ultimo congresso (si fa per dire).
In un casino come l’Italia di questi ultimi decenni, dove tutti dicono tutto ed il contrario di tutto, dove la gente è divisa fra quelli che se ne fregano e fanno i cazzi loro, quelli che hanno fatto del “fottere” il prossimo una professione; fra caste e contro caste, fra comici e buffoni che occupano gli spazi lasciati vuoti dalla politica (almeno da quella seria, come dovrebbe essere) e amplificano l’indecente spettacolo dei politicanti; fra ex giudici che si impicciano e ex impiccioni che assurgono al mestiere di giudici; fra ladri, ladroni, corrotti, corruttori, pentiti a pagamento e irriducibili (pagati pure quelli), spioni, spie, gran maestri... Dove i moralizzatori del c. (ormai esausto) si comprano un tanto al chilo nei supermarket... Dove anche la Chiesa è infestata da spudorate guerre per bande, è facile per un “paroliere”, o “cantautore” che sia, fare il suo mestiere. Ma il giochino ad effetto dura un’ora (non ne possiamo più). E’ il gioco dell’illusione, delle tre carte alla stazione di servizio sull’autostrada (pronti a sbaraccare immediatamente al primo sentore di madama). E’ la presa di giro, l’ultima di questa compagnia di teatranti, per continuare ad imbonire e rassicurare che lo sciroppo fa bene (anche alle emorrodi, anche all’impotenza e perfino alla caduta dei capelli). E’ l’ultima presa di giro – prima di ricominciare da un’altra parte – in cui si racconta che assai nobilmente si pensa al futuro (quale non lo sapremo mai), non a pochi ma a tutti gli italiani,
Un genio! La sfacciataggine fatta persona! Si tratta di un genio, anzi, no, di un messia ispirato da Dio. Di uno che entra a un quarto a mezzogiorno dal Berlusca e in venti minuti ha avuto la “visione” di tutte codeste bellissime cose. Ha visto l’Italia futura, ha visto (molto evangelicamente) che il chicco di grano deve morire per portare molto frutto.
Ma ci faccia il piacere, ci faccia! Lui e tutti quei cialtroni che tengono il sacco, lui e tutti quei coglioni che gli hanno battuto le mani. Non fatemi dire dove, quelle mani,... e non fatemi dire neppure dove, quei calci, di cui nessuno ha parlato.
Vogliono fare l’Italia del futuro? Un bel nulla faranno. Dato che se si è beoti e creduloni in codesto modo (a meno che non siano tutti in malafede e vorrei sperare di no) non si può essere in grado di fare proprio nulla. A meno che il futuro dell’Italia non coincida, guarda caso, col futuro del signor “Spaventapasseri”. Che non rappresenta più la Destra, dice lui. Meno male!.
Suicidio per suicidio avrebbero potuto essere almeno coerenti come i seguaci di Koresh nel 93. (Quello sì, oltre a fare notizia, sarebbe stato un bene). Ma anche il suicidio è una cosa seria (per gente seria e coerente). E questi certo hanno altri progetti.

Bruno Stepic

San Martino, 24 marzo 2009, S. Romolo

domenica 22 marzo 2009

gargarismi




È terminata la kermesse. Alleanza Nazionale è morta e sepolta. I gargarismi a base di valori della destra: sicurezza, tradizione, primato della politica, socialità, meritocrazia, competenza, bla, bla, bla,... sono cessati. L’effluvio di frasi fatte, vuote perché insincere, pronunciate con la preoccupazione delle orecchie malevole, e al solo fine di strappare un applauso, di rassicurare il “popolo” che è, che si tratta sempre e solo la stessa vecchia storia del Gattopardo, dato che, credeteci, bisogna cambiare tutto per non cambiare niente, è terminato. Sì il vaniloquio è finito. Ora ne inizieranno un altro, ancora più corale. Ma saranno in molti a contendersi il pollaio! E non solo galli e gallettini ma anche donnole, faine, volpi e poiane. Auguri!
E hanno rispolverato anche il povero Giorgio Almirante, al quale da tempo non hanno dato pace, facendolo girare e rigirare nella tomba fino a consumarne le ossa. Il tutto con un cinismo e una sfrontatezza che solo chi ha gettato da tempo alle ortiche ogni senso morale, ogni umana dignità può fare senza provare alcun disgusto di sé.
Eppure, peggio con peggio, nei corridoi, incontrandosi non visti bisbigliano con fare circospetto fra loro che il Re è nudo, che il monarca è impazzito, che si è bevuto il cervello, che l’ultima fichetta gli ha fatto perdere il capo per tutto, che spara cazzate una dietro l’altra, che non si sa dove voglia andare a parare... Ma nessuno che abbia il coraggio di dirlo, di gridarlo, di incazzarsi e chiedere che sia rinchiuso, o quanto meno destituito, coralmente e pubblicamente sfiduciato. Hanno tutti paura di essere fatti fuori da un dittatorello senza potere, se non quello che viene dalla vigliaccheria dei cortigiani, dalla loro paura di perdere la poltroncina, dato che la coda dei pretendenti è assai lunga e affollata. Anche qui, come nella favoletta occorrerebbe la purezza e il disinteresse di un bambino per gridare a tutti che il Re è nudo. Gli altri, che ovviamente sono tutti interessati, tutti indaffarati pubblicamente a tesserne elogi, si guardano bene. E fanno bene a fare così, dato che non uno di loro è degno di sostituirlo, dato che nessuno di costoro ha il coraggio di gridare che duello “spaventapasseri” lì non è nessuno.
E codesto è purtroppo un meccanismo a caduta, che si riproduce fino nelle più piccole federazioni provinciali, fino nelle più piccole sezioni. È la conseguenza del “potere”, del contare qualcosa, del poter finalmente ambire, arrivare. È la conseguenza del meccanismo oligarchico della cooptazione, come ho sostenuto più volte. Quando la base non conta più nulla, è solo carne da cannone, ovvero mero strumento per la moltiplicazione del consenso elettorale, nell’illusione che un osso con un po’ di ciccia ancora attaccata cada dalla tavola, subito pronti a sbranarsi come cagne fameliche per quel misero osso.
Quando nella destra c’era l’assoluta certezza di non contare nulla, quando ogni “sedia” era solo onere, quando non pronunciate suonavano dentro le parole dovere, abnegazione, sacrificio,... quando il lavoro che andava dal tenere aperto (a volte per mesi senza vedere nessuno) al lordarsi dappertutto con l’inchiostro grasso dei ciclostili che non funzionavano mai, con i solventi degli offset da ufficio con cui si stampavano periodici di testimonianza, che non leggeva nessuno, oppure con l’attacchinaggio dei manifesti (che spesso venivano subito staccati da democraticissimi avversari politici), quando la destra era tutto codesto, nei congressi si discuteva veramente di politica. I valori erano un presupposto, chi non li condivideva non era lì, era da tutt’altra parte, in tutt’altri partiti, affaccendato con tutt’altri e più proficui interessi. Erano congressi, codesti, che potevano anche finire con una scazzottata, talora a seggiolate. Ma alla fine dei quali, almeno fino al congresso successivo si andava di lì. Oggi invece anche una cialtronata di cui vergognarsi diviene una celebrazione gonfiata a dismisura, una sorta di carnevale mediatico, una risibile parata da avanspettacolo, dove anche le parole pronunziate, altrove nobili di significato, divengono luoghi comuni grotteschi, che “puzzano” come i garofani di Malaparte oppure fanno ridere dove vorrebbero suscitare le lacrime.
Non so, non ricordo la frase né il contesto, ma il concetto sì, lo rammento: si dice che quelli che tanto parlano di moralità sono proprio quelli che meno ne posseggono. Così i nostri “amici” (si fa per dire) che tanto parlano, fanno addirittura i gargarismi e in fine si sciacquano la bocca con i “valori”, son certo quelli che in fatto di valori meno posseggono.
Certo, anche qui, come al solito, parlando di “valori” non sarebbe male distinguere, dato che vi sono “valori” e “valori”.

Bruno Stepic

San Martino, 22 marzo 2009, IV di Quaresima
P.S. Le immagini, dato che mi viene richiesto, rappresentano eunuchi (o castrati), eccellenti cantori...

sabato 21 marzo 2009

Quae multo ante provisa sunt languidius incurrunt








Quae multo ante provisa sunt languidius incurrunt”. Così scrive Seneca nelle Consolazioni (Ad Marciam, 9), ma non è del tutto vero che gli eventi previsti ci “attraversano” più languidamente.
Oggi Alleanza Nazionale muore. Muore per sempre! Certo, potrà rinascere, come la Fenice. Ma non sarà più lo stesso partito. Perché chi ne ha voluto decretare la fine non potrà essere un “rianimatore” credibile.
Così, oggi, io provo un profondo senso di tristezza, e lo provo così profondamente, non tanto perché molto di me ho dato (come molti altri), ma perché, come quando qualcuno a noi caro se ne va, col rimpianto si vorrebbe poter tornare addietro nel tempo, e correggere gli errori fatti, ed essere ancora più generosi se possibile (o se possibile meno tolleranti e ancora più fermi e più duri coi mediocri). Un profondo senso di tristezza che viene dal tradimento delle aspettative, dalla caduta nel nulla dei propri sogni, alla realizzazione dei quali, per alcuni decenni si è lavorato. E non erano sogni, ma progetti – che proprio come dei figlioli sono stati allevati, accuditi, educati ed in codesta educazione “corretti” di tutti quei difetti che portavano seco –. Ovvero sogni pienamente realizzabili, ma che – oggi posso dire – avevano bisogno di ben altri uomini, di altre stature, di altre moralità. Di persone capaci di anteporre i valori, gli obiettivi, il disegno politico e più l’interesse dell’intera comunità nazionale al proprio meschino, miserello interesse personale, alla propria mediocre poltronicchia.
Alleanza Nazionale è cresciuta troppo in fretta. Troppo in fretta è andata al governo del paese. Forse, con l’inutile senno di poi, un’altra classe dirigente doveva prima essere preparata, ma per farlo occorrevano altri cervelli, altre stature... Non so! Certo ho la sensazione che in qualche modo si siano “accesi” appetiti di potere e di prestigio insaziabili, in uomini che forse, anzi certo non erano all’altezza. Un caro amico, e Maestro, accenna sovente alla Legge di Peeter, e dice: – ...hanno raggiunto il punto massimo della massima incompetenza. E certo viene da dubitare che sia successo proprio così, dato che codesti si sono trovati davanti a problemi più grandi di loro; davanti ad incarichi di governo, a ruoli più grandi di loro... E hanno perso letteralmente la testa. Anzi, se la sono montata! Pensavano di essere loro, non le idee, loro, non la gente che li votava per le idee...
I gravi errori sono iniziati fino dal primo governo B., quando il capo del partito ha fatto tutto il rovescio di quello che doveva fare. Doveva infatti – se fosse stato un politico di razza, invece che un ambiziosetto mediocre – starsene fuori dal governo, riprendere in mano decisamente le redini del partito e tenere per le palle i cosiddetti colonnelli, opportunamente sistemati nel governo. E anche il B. doveva tenere per i cosiddetti, impedendo il delirio di onnipotenza, come (doverosamente per le leggi della politica: pesi, contrappesi...) tenendosi liberi si può fare. (Del resto lui era tenuto a far pesare valori, idee e progetti politici di A.N., mica farsi bellino). Invece ha lasciato il partito in balia della lotta per bande (le tre correnti) che hanno presto prodotto la più totale paralisi, ovvero uno spreco enorme di risorse per la guerra interna, laddove si sarebbe dovuto operare all’esterno, nei confronti dell’avversario. Le federazioni provinciali sono state lasciate in balìa di se stesse o in mano ad avventurieri rotti a qualsiasi interesse personale, lecito e illecito, spuntati come era prevedibile all’ultimo momento, nell’assalto al carro del vincitore. Personaggi talora senza scrupoli, che hanno ridotto nell’angolo (giovandosi di collaudata esperienza nella spregiudicatezza e nell’imbroglio...) quanti più mitemente miravano con la più pura ingenuità a ideali e valori.
Altra considerazione. Poteva una classe dirigente, già insufficiente per un partito come il M.S.I. (si attestava intorno al 7% su base elettorale nazionale, ma effettivamente i dirigenti potevano essere relativi ad un partito del 2-3%), gestire i problemi interni ed esterni di un partito balzato al 10% in certi luoghi al 16%, al 20% e oltre? Ed è da notare che con la paura che i mediocri hanno di essere tagliati fuori dall’ultimo venuto, costoro (i dirigenti storici) hanno conservato tutto il potere nelle proprie mani, duplicando e triplicando gli incarichi fino alla paralisi totale del partito. Anzi, peggio, quando hanno potuto hanno cooptato mediocri e disonesti affaristi, i quali certo non avrebbero dato loro nessuna noia. Anzi potevano bellamente tenerli per le palle (la logica che presiede e persiste tutt’oggi nell’abolizione delle preferenze, ovvero nel potere oligarchico di partito, che aggrega solo per cooptazione).
Come si vede la paralisi totale. L’ingovernabilità, fino al punto che, invece di rimettersi ad una impresa (il partito) per la quale sapevano di essere incapaci, hanno optato per la soluzione B. Il Cavaliere! Non importa il partito, tanto i voti li tira lui (finché campa!)
E non abbiamo più rotture di coglioni. Auguri
Povera Patria (canta Battiato).

Bruno Stepic
San Martino, 21 marzo 2009, Primavera

Nelle immagini G. L. Bernini, Il ratto di Proserpina
Sopra, Maschere grottesche, Arte classica, mosaico

domenica 15 marzo 2009

Questo matrimonio non s'ha da fare...





Mi è risultato impossibile comunicare direttamente con Vittorio Feltri, per cui questa sarà una specie di lettera aperta. Poco importa se lui non la leggerà, molto probabilmente non l’avrebbe fatto lo stesso.
Perché Vittorio Feltri? Perché all’indomani del noto discorso del “predellino” a piazza San Babila, sembrò proprio lui, Feltri, essersi trasformato in una agenzia matrimoniale, da quanto caldeggiò insistentemente il matrimonio Berlusconi-Fini. Anzi, a dire il vero, mi parve più che insistesse per una “grande ammucchiata”. Fu allora che Feltri mi fece dubitare della sua capacità di giudizio politico e più del suo acume giornalistico. Ma fu quando Fini, entrato del Cavaliere per “trattare” se ne uscì dopo un quarto d’ora annunziando inopinatamente la fine di A.N. e la nascita del PDL, che mandai anche a lui, il povero Feltri, un qualche colorito accidente. Costì, in quel preciso momento ho chiuso con la politica attiva, dopo una vita intera di impegno, ho capito che era il caso, per sopravvenuto disgusto, di lasciare definitivamente il campo.
Ora si dirà, ma Feltri cosa c’entra? C’entra, c’entra, dato che oggi, a distanza di mesi attraverso il suo editoriale di ieri “tutti contro questo qui” (http://www.libero-news.it/articles/view/528405) e con altri articoli interessanti pubblicati oggi sul suo quotidiano, dimostra che non aveva capito, intuito, preconizzato quanto sarebbe accaduto, e che oggi obtorto collo deve constatare. Eppure non occorreva molto ingegno politico (o giornalistico) per preconizzare quanto sarebbe accaduto e infatti sta accadendo. Epperò quanti seguono il mio blog conoscono da tempo il mio pensiero al riguardo e non li tedierò ulteriormente.
Purtroppo caro Feltri, non è possibile a nessuno mutare il proprio “desiderio” di realtà in realtà. La realtà è quella che è, e i mutamenti, quando possibili, richiedono tempi lunghissimi, biblici addirittura. E la nostra realtà (nazionale, intendo) è caratterizzata da divisioni, le quali, per la maggior parte non sono ubbie (che sarebbero facilmente riducibili), ma sono differenti impostazioni, differenti sensibilità, modi di pensare, valori, modelli. Quindi caro Feltri, nulla di negativo (anche se negativo può risultarne l’esito nel momento politico). Intendo dire che in una società culturalmente “rudimentale” è facile coagulare i gruppi sociali o il consenso su schieramenti elementari, grossolani ma pur tuttavia omogenei, ma allorquando il pensiero politico si affina, si “civilizza” per così dire, aumentano le sfumature, e la punteggiatura si arricchisce fino al bizantinismo. Se poi aggiungiamo che la nostra tradizione culturale viene dal medioevo, dalle divisioni, dalle gabelle, dalla lotta tra papato e impero, da quella per le investiture,... dall’inganno, dal tradimento istituzionalizzati,... dalla necessità di “arrangiarsi” e difendersi dall’avvicendarsi continuo di dominatori stranieri ci si facilmente rendere conto della difficoltà di trovare accordi, linee univoche a partire fin dalle assemblee di condominio. Non le pare sia così? Purtroppo siamo destinati al proporzionalismo, con tutti i difetti da prima repubblica che questo comporta, anche se a lei Feltri non piace punto, e non piacerebbe neppure a me. Epperò, visti i fatti...
Perché noi non siamo in un paese di gente seria, e il primo a non esserlo, caro Feltri, è il signor Gianfranco Fini (proprio quel signore che dice di voler rendere seri i lavori della Camera eliminando i cosiddetti pianisti), il quale dovrebbe prendere atto della situazione “pre matrimoniale”, rompere il “fidanzamento” e, assieme a tutta la classe dirigente del suo partito fare un passo in dietro. Ovvero dimettersi da tutte le cariche indicendo prima un serio congresso (sottolineo serio congresso) capace di definire la linea di A.N. per il prossimo futuro... Scegliendo magari una nuova classe dirigente. Ma mentre scrivo queste che in un paese serio dovrebbero essere cose ovvie, mi accorgo che sto sognando, dato che questo non succederà. Figurarsi se questi “nulla” lasciano la poltrona. No, caro Feltri, mangeranno anche la m. di Berlusconi ma andranno di lì. Senz’altro con danno per la nostra Italia, dato che non ne sortirà nulla di buono, ma più dovremo “succhiarci” ancora per anni una schiera di politici decisamente assai mediocri. E intellettualmente disonesti.
Distinti saluti,

Bruno Stepic

San Martino 15 marzo 2009 (III di Quaresima)

venerdì 13 marzo 2009

Caro Ettore,...




Caro Bruno, chi ti scrive non è moderato nè radicale, nè "controtutti" nè assertore del "volemmose bbene", nè liberal nè liberista, nè giovane nè vecchio. E' la prima volta che ti scrivo ma seguo con interesse i tuoi scritti, a mio parere resi ancor più interessanti dalle illustrazioni che vi associ e che certo apprezzerei maggiormente se avessi letto qualche libro in più. Dicevo che io non sono molte cose, ma questo soltanto perchè da sempre cerco di essere semplicemente un uomo, nè ladro nè onesto, nè grande nè piccolo, modesto "mattone" di quell'Uno che riconosco nell'Umanità. Non credo al nazionalismo (lo trovo miope, oggi - ben diverso era per chi combatteva sulle pietraie del Carso) ed, allo stesso tempo, tremo all'idea di veder l'Italia solcata da muri, virtuali o di mattoni. Sogno un'utopia Internazionale (che mai sarà), e questo mi permette il lusso di non attardarmi nel gretto individualismo che affoga i miei simili; ben inteso, ciò che disprezzo è l'individualismo di chi ha qualcosa e vuole di più: altra cosa è il naturale individualismo di chi è costretto a rubare per fame o ad uccidere per ignoranza. Disprezzo i miei simili grassi e mai sazi. E ho paura (ma di quella che ti fa alzare la guardia e rispondere alle angherie) di fronte alla continua destrutturalizzazione del nostro mondo, della nostra Italia, della nostra coscienza. Sono qualunquista? forse. O forse è solo che non ci so fare tanto con le parole e riesco a dire meno di ciò che sento. Ma ciò che sento è che non ho più fiducia e voglio soltanto ribattere, finchè avrò fiato in corpo, nel mio lavoro e nella mia vita, che il mondo che mi viene offerto è una bugia. Ma voglio arrivare al punto, ti avrò annoiato. Pochi giorni fa ero uditore ad un incontro sul tema del "Pacchetto Sicurezza" e sulla sciagurata prospettiva di poter vedere uomini, donne e bambini irregolarmente presenti sul suolo italiano denunciati alle autorità da un medico. Non ti esprimo il mio disprezzo per tali manovre (è chiaro). Voglio solo raccontarti che, ad un dato momento, si è alzata tra i presenti una donna peruviana che ha detto: "Noi stranieri ringraziamo voi qui presenti che vi opponete alla negazione dei nostri diritti. Ma stete attenti a voi, Italiani; noi abbiamo visto succedere cose simili a casa nostra in altri tempi: questa è la strada per arrivare a togliere anche a voi i vostri diritti fondamnetali". E ho ancora paura. Ma non sono paralizzato.
Un abbraccio,

Ettore

Capraia Isola, 11 Marzo 2009





Mala tempora currunt
dicevano in tempi remotissimi, ma poi hanno continuato a dirlo e a ridirlo per “ogni volta di tempo”. Cosicché, mio caro Ettore, anche solo da ciò potremmo dedurre che i tempi sono sempre stati come il nostro, più o meno. E che gli uomini di buon senso e sinceri sentimenti ne hanno sempre sofferto, anche perché consapevoli di poterci fare ben poco. Forse quasi nulla. Ora io credo, amico caro, che invece, pur nell’assai circoscritta consapevolezza del nostro essere solo piccoli “mattoni” di un edificio decisamente grande del quale ci è peraltro impossibile percepire se non all’ingrosso le forme, che invece – dicevo – possiamo fare qualcosa. Possiamo credere innanzi tutto nella Legge, la quale segna il confine fra la civiltà (o almeno quella cosa che noi chiamiamo così) e la barbarie; possiamo e dobbiamo richiederne l’applicazione ed il rispetto; possiamo e dobbiamo invocare la giusta sanzione per chi non la rispetta (la cosiddetta certezza della pena); possiamo e dobbiamo fare tutto quanto codesta Legge ci consente di fare per cambiarla in una migliore allorquando riteniamo codesta Legge sbagliata. E questo per le cose piccole e grandi.
Ma dobbiamo altresì, caro Ettore, restare assai vigili, dato che in tempi torbidi come questi, è assai facile che qualcuno (non importa chi, di destra, sinistra, centro fa lo stesso) possa influenzarci o ancor peggio condizionare il nostro giudizio per suoi fini. Non dimentichiamo che siamo nel tempo dell’inganno, dove tutto o poco meno è falso, virtuale... Per questo ritengo che per onestà intellettuale e morale si debba fare lo sforzo di pensare con la propria testa. Di farci, con l’ausilio di essa, il nostro personale giudizio, sulle cose, sui fatti. Sono sicuro, da quanto colgo, che tu hai tutti gli strumenti che ti sono necessari per attingere il concetto della realtà che ti è necessario per giudicare in piena autonomia, in assoluta libertà. Dovrebbe essere così per tutti. Allora la democrazia avrebbe davvero senso. Ma dobbiamo contentarci dell’approssimazione che conosciamo.
Quanto alla Nazione (da non confondersi col nazionalismo) diciamo molto all’ingrosso che è una specie di persona molto complessa, che come una persona in carne ed ossa possiede certi requisiti fisici (da una parte vedo le caratteristiche fisico- geografiche, dall’altra vedo il popolo con le proprie intrinseche differenze, col proprio carattere regionale, locale...); poi immagino che codesta specie di persona della quale ho identificato or ora il corpo abbia una sua storia ed una sua cultura (e quindi intravedo la storia e la lingua e la cultura e le tradizioni, dove metto anche le ricette di cucina, dato che anch’esse fanno parte...); poi il senso morale (il corpo costituzionale – fondante – e quello legislativo...); insomma tutti gli attributi che via via posso cogliere di significativi.
Se poi, caro Ettore, ora io metto codesta persona Nazione così concepita intorno ad un tavolo o in un’assemblea, assieme a cento altre persone Nazione, godo letteralmente a cogliere le differenze che vedo, ed apprezzo tutto quello che percepisco di diverso, ritenendolo un bene prezioso per il “tutto” quello che sotto i miei occhi si compone si scompone, si articola.
Come sarebbe triste, caro Ettore, se diversamente vedessi davanti ai miei occhi “persone” Nazione tutte uguali, specie di cloni assurdi, a blaterare magari le medesime giustissime cose. Tutti concordi come idioti... Allora mi viene da pensare alla matematica, anzi all’algebra – rammenti? – ed alle “semplificazioni” dove 4/4 è uguale ad 1 ( e quanti ne portò il buon Noè nell’arca? Che non prese forse una sola coppia per ogni genere?) . Codesto deve fare paura. La logica inoppugnabile della matematica, che scaturisce dal razionalismo, padre dei Lumi, dei quali fu figlia la Rivoluzione del ’79. Codesto caro amico deve preoccupare. Codesta uguaglianza... il cosmopolitismo che ne deriva... l’egualitarismo acritico, incosciente della differenza: genitore di ogni “semplificazione”.
Io credo nella differenza, dunque. La ritengo un valore a cui non sono disposto a rinunziare, né in nome del socialismo né in quello del capitalismo, ambedue, guarda caso, internazionalistici, oggi mondialistici, nemici delle barriere e delle differenze (l’unica cosa a vantaggio del capitalismo multinazionale è il suo bisogno del numero... Ma non ci giurerei). Con tutto quello che comporta (ovviamente).
Quindi, caro Ettore, sarà gioco forza – a mio vedere – mantenersi in equilibrio precario tra due opposti nemici: da un lato quelli che timorosi di ogni mutamento son pronti a bruciare il diverso da loro, e dall’altro coloro che ogni differenza vorrebbero cancellare per avere un “cittadino” unico: vuoi consumatore acritico, vuoi numero indifferenziato nell’assurdo alveare socialista...
Ricambio il tuo abbraccio con simpatia,

Bruno Stepic

San Martino, 13 marzo 2009

martedì 10 marzo 2009

Le ronde




Le ronde. Qualcuno si scandalizza. Altri plaudono. Qualcuno ancora decreta la fine dello Stato di diritto. Schierarsi con gli uni o con gli altri mi lascia assai perplesso, dato che, come al solito, c’è da essere fraintesi ed i toni e certe affermazioni usate sono sopra le righe, assolutamente sproporzionati. E questo mi pare essere il vero problema: la ridicalizzazione delle posizioni, che impedisce ogni serio confronto o ragionamento. Ma anche questo fa parte del nostro costume nazionale. Chissà! Da questo punto di vista – e spero mi si voglia perdonare se mi allontano dal tema –, al nostro paese non farebbe punto male un altro po’ di “globalizzazione”, intendo quella culturale: probabilmente potrebbe contribuire a addolcire e stemperare le posizioni (eccessivamente radicali, quando non addirittura viscerali). Ma poi mi domando se anche codesto, aumentando sensibilmente la confusione – e di quella già ce n’è tanta –, non potrebbe produrre come reazione una ulteriore chiusura di quanti hanno paura del nuovo e del differente. Perché proprio costì mi pare risieda il problema principale. Il problema di quelli insomma che si rifugiano in posizioni di estrema e talora gretta difesa del proprio “mondo” culturale (o sub-culturale, che comunque è sempre culturale pure quello). Di quanti si fanno strenui difensori della propria “tradizione” (e che poi se gli domandi di cosa si tratta, non capiscono neppure quello che dici); di coloro che hanno timore, o paura, o terrore addirittura di perdere la propria “identità” (magari!). Laddove la nostra identità culturale vera è un “divenire” ed è stata caratterizzata proprio da un continuo misurarsi col nuovo, da quando i Greci cominciarono ad invadere la penisola colonizzandola culturalmente e non solo, ma anche gli Etruschi e insomma come hanno fatto tutti quelli che hanno debordato “vitalisticamente” i propri “angusti” confini iniziali, Roma più efficacemente degli altri. (Forse, molto probabilmente, anche i teutonici, se non fossero stati travolti da “Giuda e dall’Oro”, una volta “pettinati” perbenino gli avversari avrebbero rivolto le loro attenzioni al Bel Paese, mettendoci in riga e ingravidando volentieri qualche nostra bella biondina, certo prima lombrosianamente misurata. Come già del resto era successo alla nostra cara “Espressione geografica” più volte e ancor prima degli ultimi Lanzichenecchi).
Certo che le “invasioni” ed i cambiamenti devono essere gestiti, laddove è possibile. E da noi dovrebbe essere possibile. Ma senz’altro lo sarebbe assai più se invece di “sbranarci” l’un l’altro si guardasse in primo luogo al nostro interesse nazionale, che dovrebbe essere prevalente su ogni altra cosa: un interesse nazionale che oggi ci richiede di gestire e “risolvere” i problemi che via via si stanno ponendo. La sicurezza è fra questi.
Tornando alle ronde, quello che mi preoccupa non sono le ronde in sé considerate, ma invece il timore che esse costituiscano un ulteriore passo della Lega nella realizzazione del proprio progetto di disgregazione nazionale.
Ora però, avendo attribuito alla Lega una sorta di progetto, devo meglio spiegarmi: io non credo punto che codesta formazione possegga un progetto cosciente (penso che per gran parte si sia ancora ad una fase istintiva, pre-progettuale – certamente non giudico il Borghezio o il Maroni in grado di elaborare progetti o modelli... –), ovvero un piano per la disgregazione dell’unità nazionale (che peraltro ancora compiuta, matura non c’è), ma credo che codesta azione assecondi una sorta di istinto centrifugo, di una insana passione per il bricolage, di una specie di rozzo ma efficace “conato” autonomistico, che riesce a catalizzare, ad aggrumare i sentimenti di paura per ogni forma di cambiamento; un “conato” autonomistico il quale, ottimizzato da una predominante mentalità bottegaia, molto pragmaticamente adotta strategie “riformiste” trovando impossibile, al momento, il massimalismo separatista. Così, per intanto i leghisti si contentano (perché gli danno le ronde), ma hanno bisogno di una costante opera di “cementazione”, che quel furbacchione istintivo di Bossi gli offre ogni tanto, ora menandoli per il naso con la “trappola” dell’ampolla... (ben altra e misera cosa rispetto alle coreografie di Speer per la Norimberga del ’34), ora con qualche altra congenere sciocchezza.
Insomma, anche le ronde, si aggiungono, e sono questi colpetti continui, queste piccole ma incisive crepe apportate ai sistema “unitario” che devono preoccupare.
E’ vero che delle soluzioni devono essere trovate nei confronti di un Sud dissipatore, anche per giustamente tutelare un Nord produttore di ricchezza, ma quella del federalismo non è certo una via che chi come me è convintamente sostenitore della necessità di contemperare complessivamente interessi e bisogni della Nazione può approvare.
Mi meraviglia (ma non più di tanto, dato che certuni pur di stare al Governo non si sa cosa sarebbero capaci di mangiare...) che gli uomini di A.N. (ora ex) accettino tacitamente che continui quest’opera di smantellamento della Nazione, ma forse la risposta è all’interno dell’ultima parentesi.
Certo la soluzione medievale proposta dalla Lega, col ritorno ai birri cittadini (magari armati di forcone), non è soluzione in questo senso accettabile. Meglio assai, nel breve periodo, se del caso, qualche ronda di quelle vere, di quelle che vedevamo uscire dalle caserme fino a pochi anni fa. Magari col manganello al posto della pistola.

Bruno Stepic

San Martino, 10 marzo 2009

giovedì 5 marzo 2009

L'Etat c'est moi








Purtroppo non riesco a vedere, neppure intravedere, una possibile via di uscita dalla crisi. E non intendo la crisi economica, dalla quale, prima o poi riusciremo a levare le gambe. Intendo quello stato di malessere generalizzato, quella sorta di assuefazione al “tanto peggio” che, come comunità nazionale, ci fa essere sconfitti in partenza, battuti, perdenti.
Una condizione alla quale certo contribuisce il clima di contrapposizione interna, questa sorta di guerra per bande, questa specie faida generalizzata di tutti contro tutti, che poco ha a che vedere col contenuto intrinseco, oggettivo delle proposte, delle azioni, dei fatti di questo o quello, che comunque saranno sempre discutibili, ed eventualmente opinabili nel merito.
No, qui, mi pare che lo strappo che è stato consumato abbia altre caratteristiche, molto assimilabili a certe crisi matrimoniali, nelle quali, rotto l’incantesimo, ogni cosa piglia ad andare storta, in un continuo susseguirsi di recriminazioni. Dal modo in cui l’uno o l’altra ha lasciato l’asciugamani, allo scolapasta che lì non doveva stare, in un crescendo di dispetti, di angherie sempre più pesanti, da tragicommedia (per intendersi ho in mente il film La Guerra dei Roses, 1989).
Mi ha colpito oggi, per esempio, la dichiarazione immediata di contrarietà verso le cosiddette “grandi opere” che il governo vorrebbe intraprendere fra le misure anticrisi del mercato del lavoro: al riguardo infatti, Epifani, Cgil, ha subito contro proposto le “piccole opere”, che a suo dire sarebbero di immediata realizzazione.
Per carità, io non intendo entrare nel merito, epperò sono certo che se il governo avesse proposto le “piccole opere” il nostro avrebbe certo subito accusato chi governa di essere “pidocchioso” e giustamente, forse, avrebbe obiettato che, conoscendo le amministrazioni locali e la di loro inerzia, sarebbero occorsi anni prima di giungere ad un qualcosa di fatto.
Certo, questo è solo un misero esempio, ma credetemi, almeno a me dà la conferma, dà l'ulteriore misura del livello “infantile” nel quale tuttora permane la nostra democrazia.
Qui da noi, insomma, ci sono tutti (intendo gruppi, partiti – e anche la chiesa –) che impunemente litigano fra di loro senza soluzione di continuità, da decenni, e da una parte è lo Stato, una sorta di convitato di pietra, quando non addirittura (nell’immaginario collettivo) una sorta di “nemico pubblico”. Ovvero una sorta di oggetto, di strumento, o passepartout del potere, per impossessarsi del quale si lotta senza esclusione di colpi. La cosa pare purtroppo finire lì: impossessarsi dello Stato, ovvero delle leve del potere, ovvero del denaro, dei posti dai quali si gestiscono le clientele (sempre più ampie). Non c’è assolutamente, se non in qualcuno assai raro, l’idea che codesto Stato, nelle Repubbliche come la nostra, nelle Democrazie come la nostra, siamo noi. Aveva ragione Luigi XIV ad affermare l’Etat c’est moi! Avremmo altrettanta ragione noi, ciascuno di noi se avessimo la capacità di usare la stessa frase, di sentire dentro noi stessi l’esistenza profonda, grande, imperiosa dello Stato.
Macché Educazione Civica: un fallimento totale, per lo più un obbligo didattico adempiuto obtorto collo, raramente con una qualche passione; laddove lo studio delle virtù civiche risultava in altri tempi primario fra gli insegnamenti, con Plutarco in prima linea, certo seguito da Omero, Esiodo e via dicendo. Insomma nel mondo antico (ma anche in epoche più recenti) tutta una gara a mettere al vertice il sacrificio personale (e anche l’eroismo) nell’interesse più alto della comunità, dello Stato.
Oggi invece, al contrario, siamo quelli di “fatta la legge trovato l’inganno”; siamo quelli che, se al governo della Nazione c’è lui, o l’altro, ecco che non solo lui, o l’altro, ma lo stesso Stato è tuo nemico. Fintanto che lo Stato è divenuto una sorta di nemico, aiutato grandemente da una “classe” politica mestierante di spreconi, ladri, profittatori d’ogni risma...
E allora ci manca la capacità di essere Popolo e Nazione, di fare squadra come dovremmo di fronte alle avversità, di collaborare come dovremmo, e ci comportiamo viceversa come se quello che accade accadesse ad altri, non a noi, in una sorta di “tanto peggio tanto meglio” da mentecatti, da masochisti.
I nostri politici sono dei mediocri e da loro non potremmo certo aspettarci di più; né possiamo aspettare che torni Godot come nel Mercadet l’affarista. Qui purtroppo dovremmo essere noi a rimboccarci le maniche, ma guardandomi intorno non mi pare di intravedere nessuno che ne abbia intenzione.
Spero solo che la sinistra, che peraltro non amo, non mi spinga ad apprezzare Berlusconi (che peraltro non amo) come il “male minore”.

Bruno Stepic

San Martino, 5 marzo 2009

lunedì 2 marzo 2009

alla deriva





Sto riflettendo da tempo, ma in modo un po’ più sistematico in questi giorni, sulla caoticità della situazione politica attuale, che, facendone parte, non è, né può essere staccata dalla più generale situazione della realtà contemporanea (la quale peraltro complessa per tutti i paesi, ha avuto da noi, un contributo specialissimo di complicazione dovuto dal costume viscerale di trattare le cose, in sostituzione della ragionevolezza necessaria per affrontare questioni e problemi). Un problema – quello della caoticità – al quale, sono convinto è impossibile mettere capo, anche perché ai difetti del costume nazionale si vanno aggiungendo i disagi e le complicazioni derivanti dalla globalizzazione. Un problema al quale, se così restano le cose, almeno temporaneamente forse potrebbe portare una soluzione “sintomatica” solo una radicale semplificazione. Intendo una qualche catastrofe di quelle che a volte succedono (ma che io, sia ben chiaro, non mi auguro assolutamente), che scavalcando il problema medesimo, ovvero tagliandolo il nodo in un sol colpo, inducesse a porsi problemi seri e fondamentali, e non certo la gran parte di sciocchezze fra le quali la nostra esistenza, pur breve, deve quotidianamente districarsi. Mi sovviene al riguardo lo stupendo film di Fellini, Prova d’Orchestra, 1979, che però, dato che metteva il dito nella piaga “sindacale” non ha avuto il meritato successo.
E’ chiaro che ad impicciarsi dei “massimi sistemi” si corre più facilmente il rischio di scivolare o enfatizzare delle sciocchezze, specie se per necessità si devono utilizzare iperboli e forzature, ma tant’è; epperò, comunque, il disagio è forte, e altrettanto lo è, anzi lo sarebbe, il desiderio di comprendere, se mai fosse possibile. Un disagio tutto sommato insignificante se attenesse solo la sfera personale, individuale, ma che assume differente valore quando lo si coglie sempre più spesso anche in altri, quando insomma nostro malgrado diviene un “cum sentire”. Del resto per eventualmente predisporsi a risolvere un problema occorrerebbe in primo luogo conoscerne i termini. Ma è possibile oggi attingere tutti i termini del problema che la comprensione della realtà richiederebbe? E, se individualmente inattuabile – almeno fantasticando –, sarebbe possibile programmare una sorta di grande computer capace di farlo? E chi sarebbe in grado di fornire a codesta macchina tutti i dati del reale, cioè di individuarli ed inserirli? E la realtà non sarebbe nel frattempo mutata cento mille volte? Eppoi, se del caso, ancora, affideremmo i nostri destini alle risposte di una macchina? No, io credo che per la infinita complessità degli elementi e delle loro relazioni (note ed ignote), la realtà sia inconoscibile, ovvero sia impossibile formarsene un concetto attendibile, in qualche misura verosimile. Come del resto è impossibile farsi la cosiddetta idea dei fatti leggendosi tutta la stampa che ne tratta, ammesso che qualcuno abbia voglia e tempo di farlo, almeno fino alla nausea. Ciò anche senza incomodare Pirandello o richiamarsi a Rashomon, un vero capolavoro, mirabilmente rappresentato da Kurosawa.
Si dirà: – Ma cosa pretendi! C’è gente, la maggior parte, ed è sempre stato così, che manco si rende conto di esserci... E tu vorresti una generale consapevolezza del concetto di realtà, per cosa poi, per il progetto del destino collettivo? Ma non stai chiedendo la luna? Non stai perdendo tu, del tempo?
Sì, è forse vero, ma però, al di là di sapere dove andremo a cena stasera, o in vacanza nella prossima estate... Non è forse necessario avere una idea di che tipo di società intendiamo costruire? O, quanto meno, in quale senso intendiamo aggiustare i difetti di quella che c’è. Ammesso che si sia in grado di individuarli! Perché una cosa è certa, le spie sono moltissime, la crisi del mondo contemporaneo e delle democrazie è in atto; ed è a mio vedere la conseguenza della democrazia medesima, ovvero il suo paradosso: quando la libertà finisce in licenza; quando ognuno ritiene lecito fare ciò che gli pare; quando il sistema politico, fondato sulla rappresentatività non ha più autorevolezza, perché trova ogni giorno l’interdizione alla propria azione da parte di comitati e movimenti trasversali e non; quando ciascuno ritiene di potere dire la sua essendo venuto meno il principio di gerarchia; insomma quando la nave non è più governabile e va alla deriva. E allora, quando i certi medi, la cosiddetta borghesia piccola e media si sente schiacciata (caro Daniele), quando vede ridursi giorno per giorno la propria possibilità di sopravvivere, dato che nelle crisi è sempre la prima a buscarne, eccola invocare sempre più a gran voce il fatidico pugno sul tavolo; o aspettare quella sorta di messia che dica: – Da ora si fa così! (E io, sia chiaro, non auspico punto la venuta di codesto messia, anzi, lo temo.)
Consiglio, e ti consiglio, caro Daniele di leggere, se già non l’avessi fatto, il romanzo di Ardengo Soffici, Lemmonio Boreo.
Insomma – tornando a questioni meno speciose –, può darsi anche che io stia perdendo del tempo, ma a me pare che un po’ tutti, oggi, intendo gli schieramenti politici ma anche per le questioni che vengono quotidianamente affrontate dalla cronache, nei talk-show e financo nelle parrocchie, per non dire delle chiacchiere nei bar – e sto quindi scivolando nelle bagattelle –, si vada perdendo del tempo, un po’ come se tutti si fosse a pestare acqua nel mortaio. Ciascuno il proprio bel mortaietto, su misura in tutto e per tutto, e, ciliegina sulla torta, ciascuno ad ascoltare il rumore fatto dal proprio, non avendo più orecchie per quelli degli altri, in una sopra di oscura consapevolezza dell’inutilità dell’ascolto di cose vane. E ciascuno aggiunge la propria, contento di averla detta, come se, dal più intelligente al più deficiente, tutti immaginassero che il mondo è lì, in attesa della loro “sentenza”, in mancanza della quale – proprio di quella! – non potrà più andare avanti.
Sono sgomento anche perché avverto fortemente tutta la pericolosità di questo pressappochismo ciarliero, dilagante in tutto e per tutto; la pericolosità dell’opinione quando diviene primato, quando si nullifica nella sua stessa inconsistenza o nella contrapposizione del nulla fine a se stesso. Sono sgomento anche perché sorvolando la storia col pensiero, con la memorie dei fatti, mi pare che mai come oggi il nostro pianeta abbia avuto inquilini così inutili, così insignificanti e perditempo.
Dico: almeno l’operaio del ‘700 che mi viene ora a mente, a Venezia, in un campo qualsiasi, ma prendiamo a mo’ d’esempio il Campo dei Gesuiti, una bella cornice nel marmo sapeva intagliarla! Oggi si partecipa tutti in qualche modo, consapevolmente o inconsciamente alla costruzione sempre più complessa di sub-mondo cosiddetto virtuale, e ci si scorda che siamo seduti su quello reale.
Insomma a me pare che, a farla breve, si sia smarrita non solo l’idea di cosa “costruire” ma anche quella di dove intendiamo andare – come società, intendo –, e che addirittura ci si sia dimenticati che stiamo compiendo una sorta di “viaggio”, nel tempo e nella storia. Un viaggio che come minimo richiederebbe almeno la presenza a se stessi. La consapevolezza del rischio che si corre a smarrire la rotta.
Ora io non so punto se vi siano delle soluzioni, né chi possa mettersi a cercarne, e però, credo che almeno il problema sia necessario porselo. Avverto con disagio la caoticità assurda di questa specie di torre di Babele che abbiamo costruito e, “sinistramente”, ne temo le conseguenze. E’ come, insomma, se tutti stessimo a discutere animatamente di tutto, tutti contemporaneamente, dalle cose apparentemente più serie a quelle sostanzialmente più frivole e sciocche, mente l’acqua gelida sta inondando copiosamente la stiva; ovvero che, mentre i più danzano e sorridono come beoti, alcuni – pochi per la verità – stiano lì a rastremare un turacciolo per tappare lo zampillo nella parete, assolutamente inconsapevoli, anche loro, che l’acqua, che copiosamente ha invaso i ponti è già all’altezza delle ginocchia, o dei “testicoli”.
Io non so neppure se siano possibili movimenti in controtendenza, se pensare a modelli sociali ed organizzativi della società differenti da questo sia in qualche modo possibile o anche l’ipotesi possa innescare fenomeni economicamente e socialmente disastrosi, epperò avverto che questo colossale congegno, questo infernale e perverso meccanismo ci sta in qualche modo fagocitando. Insomma, al di là della tutto sommato inutile perché circoscritta e di fatto complessivamente insignificante fortuna o sfortuna personali, non mi pare che come società si possa affermare o credere più nel faber sue quisque fortune, ma che al contrario si sia, nella migliore delle ipotesi, pragmaticamente al traino degli eventi, generati questi da un sistema di cui tutto o quasi ci sfugge, del quale abbiamo perduto il controllo, un po’ come in quelle situazioni (e lì il quadro generale era assai più semplice), che determinarono per reazione la fortuna delle dittature.

Bruno Stepic

San Martino, 2 marzo 2009
P.S. L'amico Daniele ha pubblicato un post Il Fascismo prossimo venturo, al quale alcune delle considerazioni sopra esposte ben si collegano. Lo ringrazio qui per la benevolenza della sua ulteriore molto articolata risposta.