giovedì 5 marzo 2009

L'Etat c'est moi








Purtroppo non riesco a vedere, neppure intravedere, una possibile via di uscita dalla crisi. E non intendo la crisi economica, dalla quale, prima o poi riusciremo a levare le gambe. Intendo quello stato di malessere generalizzato, quella sorta di assuefazione al “tanto peggio” che, come comunità nazionale, ci fa essere sconfitti in partenza, battuti, perdenti.
Una condizione alla quale certo contribuisce il clima di contrapposizione interna, questa sorta di guerra per bande, questa specie faida generalizzata di tutti contro tutti, che poco ha a che vedere col contenuto intrinseco, oggettivo delle proposte, delle azioni, dei fatti di questo o quello, che comunque saranno sempre discutibili, ed eventualmente opinabili nel merito.
No, qui, mi pare che lo strappo che è stato consumato abbia altre caratteristiche, molto assimilabili a certe crisi matrimoniali, nelle quali, rotto l’incantesimo, ogni cosa piglia ad andare storta, in un continuo susseguirsi di recriminazioni. Dal modo in cui l’uno o l’altra ha lasciato l’asciugamani, allo scolapasta che lì non doveva stare, in un crescendo di dispetti, di angherie sempre più pesanti, da tragicommedia (per intendersi ho in mente il film La Guerra dei Roses, 1989).
Mi ha colpito oggi, per esempio, la dichiarazione immediata di contrarietà verso le cosiddette “grandi opere” che il governo vorrebbe intraprendere fra le misure anticrisi del mercato del lavoro: al riguardo infatti, Epifani, Cgil, ha subito contro proposto le “piccole opere”, che a suo dire sarebbero di immediata realizzazione.
Per carità, io non intendo entrare nel merito, epperò sono certo che se il governo avesse proposto le “piccole opere” il nostro avrebbe certo subito accusato chi governa di essere “pidocchioso” e giustamente, forse, avrebbe obiettato che, conoscendo le amministrazioni locali e la di loro inerzia, sarebbero occorsi anni prima di giungere ad un qualcosa di fatto.
Certo, questo è solo un misero esempio, ma credetemi, almeno a me dà la conferma, dà l'ulteriore misura del livello “infantile” nel quale tuttora permane la nostra democrazia.
Qui da noi, insomma, ci sono tutti (intendo gruppi, partiti – e anche la chiesa –) che impunemente litigano fra di loro senza soluzione di continuità, da decenni, e da una parte è lo Stato, una sorta di convitato di pietra, quando non addirittura (nell’immaginario collettivo) una sorta di “nemico pubblico”. Ovvero una sorta di oggetto, di strumento, o passepartout del potere, per impossessarsi del quale si lotta senza esclusione di colpi. La cosa pare purtroppo finire lì: impossessarsi dello Stato, ovvero delle leve del potere, ovvero del denaro, dei posti dai quali si gestiscono le clientele (sempre più ampie). Non c’è assolutamente, se non in qualcuno assai raro, l’idea che codesto Stato, nelle Repubbliche come la nostra, nelle Democrazie come la nostra, siamo noi. Aveva ragione Luigi XIV ad affermare l’Etat c’est moi! Avremmo altrettanta ragione noi, ciascuno di noi se avessimo la capacità di usare la stessa frase, di sentire dentro noi stessi l’esistenza profonda, grande, imperiosa dello Stato.
Macché Educazione Civica: un fallimento totale, per lo più un obbligo didattico adempiuto obtorto collo, raramente con una qualche passione; laddove lo studio delle virtù civiche risultava in altri tempi primario fra gli insegnamenti, con Plutarco in prima linea, certo seguito da Omero, Esiodo e via dicendo. Insomma nel mondo antico (ma anche in epoche più recenti) tutta una gara a mettere al vertice il sacrificio personale (e anche l’eroismo) nell’interesse più alto della comunità, dello Stato.
Oggi invece, al contrario, siamo quelli di “fatta la legge trovato l’inganno”; siamo quelli che, se al governo della Nazione c’è lui, o l’altro, ecco che non solo lui, o l’altro, ma lo stesso Stato è tuo nemico. Fintanto che lo Stato è divenuto una sorta di nemico, aiutato grandemente da una “classe” politica mestierante di spreconi, ladri, profittatori d’ogni risma...
E allora ci manca la capacità di essere Popolo e Nazione, di fare squadra come dovremmo di fronte alle avversità, di collaborare come dovremmo, e ci comportiamo viceversa come se quello che accade accadesse ad altri, non a noi, in una sorta di “tanto peggio tanto meglio” da mentecatti, da masochisti.
I nostri politici sono dei mediocri e da loro non potremmo certo aspettarci di più; né possiamo aspettare che torni Godot come nel Mercadet l’affarista. Qui purtroppo dovremmo essere noi a rimboccarci le maniche, ma guardandomi intorno non mi pare di intravedere nessuno che ne abbia intenzione.
Spero solo che la sinistra, che peraltro non amo, non mi spinga ad apprezzare Berlusconi (che peraltro non amo) come il “male minore”.

Bruno Stepic

San Martino, 5 marzo 2009

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