domenica 22 marzo 2009

gargarismi




È terminata la kermesse. Alleanza Nazionale è morta e sepolta. I gargarismi a base di valori della destra: sicurezza, tradizione, primato della politica, socialità, meritocrazia, competenza, bla, bla, bla,... sono cessati. L’effluvio di frasi fatte, vuote perché insincere, pronunciate con la preoccupazione delle orecchie malevole, e al solo fine di strappare un applauso, di rassicurare il “popolo” che è, che si tratta sempre e solo la stessa vecchia storia del Gattopardo, dato che, credeteci, bisogna cambiare tutto per non cambiare niente, è terminato. Sì il vaniloquio è finito. Ora ne inizieranno un altro, ancora più corale. Ma saranno in molti a contendersi il pollaio! E non solo galli e gallettini ma anche donnole, faine, volpi e poiane. Auguri!
E hanno rispolverato anche il povero Giorgio Almirante, al quale da tempo non hanno dato pace, facendolo girare e rigirare nella tomba fino a consumarne le ossa. Il tutto con un cinismo e una sfrontatezza che solo chi ha gettato da tempo alle ortiche ogni senso morale, ogni umana dignità può fare senza provare alcun disgusto di sé.
Eppure, peggio con peggio, nei corridoi, incontrandosi non visti bisbigliano con fare circospetto fra loro che il Re è nudo, che il monarca è impazzito, che si è bevuto il cervello, che l’ultima fichetta gli ha fatto perdere il capo per tutto, che spara cazzate una dietro l’altra, che non si sa dove voglia andare a parare... Ma nessuno che abbia il coraggio di dirlo, di gridarlo, di incazzarsi e chiedere che sia rinchiuso, o quanto meno destituito, coralmente e pubblicamente sfiduciato. Hanno tutti paura di essere fatti fuori da un dittatorello senza potere, se non quello che viene dalla vigliaccheria dei cortigiani, dalla loro paura di perdere la poltroncina, dato che la coda dei pretendenti è assai lunga e affollata. Anche qui, come nella favoletta occorrerebbe la purezza e il disinteresse di un bambino per gridare a tutti che il Re è nudo. Gli altri, che ovviamente sono tutti interessati, tutti indaffarati pubblicamente a tesserne elogi, si guardano bene. E fanno bene a fare così, dato che non uno di loro è degno di sostituirlo, dato che nessuno di costoro ha il coraggio di gridare che duello “spaventapasseri” lì non è nessuno.
E codesto è purtroppo un meccanismo a caduta, che si riproduce fino nelle più piccole federazioni provinciali, fino nelle più piccole sezioni. È la conseguenza del “potere”, del contare qualcosa, del poter finalmente ambire, arrivare. È la conseguenza del meccanismo oligarchico della cooptazione, come ho sostenuto più volte. Quando la base non conta più nulla, è solo carne da cannone, ovvero mero strumento per la moltiplicazione del consenso elettorale, nell’illusione che un osso con un po’ di ciccia ancora attaccata cada dalla tavola, subito pronti a sbranarsi come cagne fameliche per quel misero osso.
Quando nella destra c’era l’assoluta certezza di non contare nulla, quando ogni “sedia” era solo onere, quando non pronunciate suonavano dentro le parole dovere, abnegazione, sacrificio,... quando il lavoro che andava dal tenere aperto (a volte per mesi senza vedere nessuno) al lordarsi dappertutto con l’inchiostro grasso dei ciclostili che non funzionavano mai, con i solventi degli offset da ufficio con cui si stampavano periodici di testimonianza, che non leggeva nessuno, oppure con l’attacchinaggio dei manifesti (che spesso venivano subito staccati da democraticissimi avversari politici), quando la destra era tutto codesto, nei congressi si discuteva veramente di politica. I valori erano un presupposto, chi non li condivideva non era lì, era da tutt’altra parte, in tutt’altri partiti, affaccendato con tutt’altri e più proficui interessi. Erano congressi, codesti, che potevano anche finire con una scazzottata, talora a seggiolate. Ma alla fine dei quali, almeno fino al congresso successivo si andava di lì. Oggi invece anche una cialtronata di cui vergognarsi diviene una celebrazione gonfiata a dismisura, una sorta di carnevale mediatico, una risibile parata da avanspettacolo, dove anche le parole pronunziate, altrove nobili di significato, divengono luoghi comuni grotteschi, che “puzzano” come i garofani di Malaparte oppure fanno ridere dove vorrebbero suscitare le lacrime.
Non so, non ricordo la frase né il contesto, ma il concetto sì, lo rammento: si dice che quelli che tanto parlano di moralità sono proprio quelli che meno ne posseggono. Così i nostri “amici” (si fa per dire) che tanto parlano, fanno addirittura i gargarismi e in fine si sciacquano la bocca con i “valori”, son certo quelli che in fatto di valori meno posseggono.
Certo, anche qui, come al solito, parlando di “valori” non sarebbe male distinguere, dato che vi sono “valori” e “valori”.

Bruno Stepic

San Martino, 22 marzo 2009, IV di Quaresima
P.S. Le immagini, dato che mi viene richiesto, rappresentano eunuchi (o castrati), eccellenti cantori...

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