martedì 10 marzo 2009

Le ronde




Le ronde. Qualcuno si scandalizza. Altri plaudono. Qualcuno ancora decreta la fine dello Stato di diritto. Schierarsi con gli uni o con gli altri mi lascia assai perplesso, dato che, come al solito, c’è da essere fraintesi ed i toni e certe affermazioni usate sono sopra le righe, assolutamente sproporzionati. E questo mi pare essere il vero problema: la ridicalizzazione delle posizioni, che impedisce ogni serio confronto o ragionamento. Ma anche questo fa parte del nostro costume nazionale. Chissà! Da questo punto di vista – e spero mi si voglia perdonare se mi allontano dal tema –, al nostro paese non farebbe punto male un altro po’ di “globalizzazione”, intendo quella culturale: probabilmente potrebbe contribuire a addolcire e stemperare le posizioni (eccessivamente radicali, quando non addirittura viscerali). Ma poi mi domando se anche codesto, aumentando sensibilmente la confusione – e di quella già ce n’è tanta –, non potrebbe produrre come reazione una ulteriore chiusura di quanti hanno paura del nuovo e del differente. Perché proprio costì mi pare risieda il problema principale. Il problema di quelli insomma che si rifugiano in posizioni di estrema e talora gretta difesa del proprio “mondo” culturale (o sub-culturale, che comunque è sempre culturale pure quello). Di quanti si fanno strenui difensori della propria “tradizione” (e che poi se gli domandi di cosa si tratta, non capiscono neppure quello che dici); di coloro che hanno timore, o paura, o terrore addirittura di perdere la propria “identità” (magari!). Laddove la nostra identità culturale vera è un “divenire” ed è stata caratterizzata proprio da un continuo misurarsi col nuovo, da quando i Greci cominciarono ad invadere la penisola colonizzandola culturalmente e non solo, ma anche gli Etruschi e insomma come hanno fatto tutti quelli che hanno debordato “vitalisticamente” i propri “angusti” confini iniziali, Roma più efficacemente degli altri. (Forse, molto probabilmente, anche i teutonici, se non fossero stati travolti da “Giuda e dall’Oro”, una volta “pettinati” perbenino gli avversari avrebbero rivolto le loro attenzioni al Bel Paese, mettendoci in riga e ingravidando volentieri qualche nostra bella biondina, certo prima lombrosianamente misurata. Come già del resto era successo alla nostra cara “Espressione geografica” più volte e ancor prima degli ultimi Lanzichenecchi).
Certo che le “invasioni” ed i cambiamenti devono essere gestiti, laddove è possibile. E da noi dovrebbe essere possibile. Ma senz’altro lo sarebbe assai più se invece di “sbranarci” l’un l’altro si guardasse in primo luogo al nostro interesse nazionale, che dovrebbe essere prevalente su ogni altra cosa: un interesse nazionale che oggi ci richiede di gestire e “risolvere” i problemi che via via si stanno ponendo. La sicurezza è fra questi.
Tornando alle ronde, quello che mi preoccupa non sono le ronde in sé considerate, ma invece il timore che esse costituiscano un ulteriore passo della Lega nella realizzazione del proprio progetto di disgregazione nazionale.
Ora però, avendo attribuito alla Lega una sorta di progetto, devo meglio spiegarmi: io non credo punto che codesta formazione possegga un progetto cosciente (penso che per gran parte si sia ancora ad una fase istintiva, pre-progettuale – certamente non giudico il Borghezio o il Maroni in grado di elaborare progetti o modelli... –), ovvero un piano per la disgregazione dell’unità nazionale (che peraltro ancora compiuta, matura non c’è), ma credo che codesta azione assecondi una sorta di istinto centrifugo, di una insana passione per il bricolage, di una specie di rozzo ma efficace “conato” autonomistico, che riesce a catalizzare, ad aggrumare i sentimenti di paura per ogni forma di cambiamento; un “conato” autonomistico il quale, ottimizzato da una predominante mentalità bottegaia, molto pragmaticamente adotta strategie “riformiste” trovando impossibile, al momento, il massimalismo separatista. Così, per intanto i leghisti si contentano (perché gli danno le ronde), ma hanno bisogno di una costante opera di “cementazione”, che quel furbacchione istintivo di Bossi gli offre ogni tanto, ora menandoli per il naso con la “trappola” dell’ampolla... (ben altra e misera cosa rispetto alle coreografie di Speer per la Norimberga del ’34), ora con qualche altra congenere sciocchezza.
Insomma, anche le ronde, si aggiungono, e sono questi colpetti continui, queste piccole ma incisive crepe apportate ai sistema “unitario” che devono preoccupare.
E’ vero che delle soluzioni devono essere trovate nei confronti di un Sud dissipatore, anche per giustamente tutelare un Nord produttore di ricchezza, ma quella del federalismo non è certo una via che chi come me è convintamente sostenitore della necessità di contemperare complessivamente interessi e bisogni della Nazione può approvare.
Mi meraviglia (ma non più di tanto, dato che certuni pur di stare al Governo non si sa cosa sarebbero capaci di mangiare...) che gli uomini di A.N. (ora ex) accettino tacitamente che continui quest’opera di smantellamento della Nazione, ma forse la risposta è all’interno dell’ultima parentesi.
Certo la soluzione medievale proposta dalla Lega, col ritorno ai birri cittadini (magari armati di forcone), non è soluzione in questo senso accettabile. Meglio assai, nel breve periodo, se del caso, qualche ronda di quelle vere, di quelle che vedevamo uscire dalle caserme fino a pochi anni fa. Magari col manganello al posto della pistola.

Bruno Stepic

San Martino, 10 marzo 2009

1 commento:

  1. Caro Bruno,
    chi ti scrive non è moderato nè radicale, nè "controtutti" nè assertore del "volemmose bbene", nè liberal nè liberista, nè giovane nè vecchio.
    E' la prima volta che ti scrivo ma seguo con interesse i tuoi scritti, a mio parere resi ancor più interessanti dalle illustrazioni che vi associ e che certo apprezzerei maggiormente se avessi letto qualche libro in più.
    Dicevo che io non sono molte cose, ma questo soltanto perchè da sempre cerco di essere semplicemente un uomo, nè ladro nè onesto, nè grande nè piccolo, modesto "mattone" di quell'Uno che riconosco nell'Umanità.
    Non credo al nazionalismo (lo trovo miope, oggi - ben diverso era per chi combatteva sulle pietraie del Carso) ed, allo stesso tempo, tremo all'idea di veder l'Italia solcata da muri, virtuali o di mattoni.
    Sogno un'utopia Internazionale (che mai sarà), e questo mi permette il lusso di non attardarmi nel gretto individualismo che affoga i miei simili; ben inteso, ciò che disprezzo è l'individualismo di chi ha qualcosa e vuole di più: altra cosa è il naturale individualismo di chi è costretto a rubare per fame o ad uccidere per ignoranza.
    Disprezzo i miei simili grassi e mai sazi.
    E ho paura (ma di quella che ti fa alzare la guardia e rispondere alle angherie) di fronte alla continua destrutturalizzazione del nostro mondo, della nostra Italia, della nostra coscienza.
    Sono qualunquista? forse. O forse è solo che non ci so fare tanto con le parole e riesco a dire meno di ciò che sento.
    Ma ciò che sento è che non ho più fiducia e voglio soltanto ribattere, finchè avrò fiato in corpo, nel mio lavoro e nella mia vita, che il mondo che mi viene offerto è una bugia.
    Ma voglio arrivare al punto, ti avrò annoiato.
    Pochi giorni fa ero uditore ad un incontro sul tema del "Pacchetto Sicurezza" e sulla sciagurata prospettiva di poter vedere uomini, donne e bambini irregolarmente presenti sul suolo italiano denunciati alle autorità da un medico.
    Non ti esprimo il mio disprezzo per tali manovre (è chiaro). Voglio solo raccontarti che, ad un dato momento, si è alzata tra i presenti una donna peruviana che ha detto: "Noi stranieri ringraziamo voi qui presenti che vi opponete alla negazione dei nostri diritti. Ma stete attenti a voi, Italiani; noi abbiamo visto succedere cose simili a casa nostra in altri tempi: questa è la strada per arrivare a togliere anche a voi i vostri diritti fondamnetali".
    E ho ancora paura.
    Ma non sono paralizzato.

    Un abbraccio,

    Ettore

    Capraia Isola, 11 Marzo 2009

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