giovedì 3 dicembre 2009

mala tempora currunt











Cari amici, avevo intenzione di dedicare una paginetta ad un grande scultore, la cui opera, rivista dopo molti anni, mi ha aperto l’animo accendendolo con moti sinceri di sentimento e ammirazione, quasi un fanciullesco stupore: cosa rara, che accade solo per le cose “belle e sante”.
E avevo anche pensato, continuando a parafrasare Foscolo, spero non a sproposito e con la necessaria umiltà, di aprire quel mio scritterello con una sorta di incipit, ancora dai Sepolcri: “a egregie cose il forte animo accendono…” Sì, amici cari, perché quell’emozione e le sensazioni intense che quei modelli in gesso hanno suscitato nel profondo mi hanno dato conforto, quasi l’illusione che anche il mio animo, per un attimo, potesse aver trovato lo stesso vigore del Poeta: pur restando ben consapevole della diversità, dato che laddove nel Foscolo ad accendere il sentimento erano state probabilmente la memoria, la riflessione, la grandezza del genio… qui invece aveva operato la forza dell’arte, quell’empatia che annullando del tutto il tempo c’illude in un essere universale alla cui “mensa” sublime ci è dato per un momento di partecipare.
Sì, cento cose vi sarebbe da dire, cento vie, pensieri diversi eppure coerenti vi sarebbe da seguire. Forse un giorno mi ci proverò. Anche se Libero Andreotti (è lui lo scultore capace di codesti prodigi) meriterebbe assai più e assai meglio di quanto io sia in grado. Senz’altro l’esser cavato con gli onori che merita dall’oblio di codesto avello (ancorché nobile luogo), quanto meno dagli Studi, non di giornata, come si usa, ma di anni interi. Sarà stato forse codesto riflettere che, oltre il vigore dei sentimenti, m’ha richiamato i foscoliani monumenti.
– Perché non ora? – Penserà un qualche amico. Perché purtroppo le cose del giorno ce la mettono tutta nel richiamarmi al loro indecente, mefitico squallore (del resto se potessimo far durare ancora e ancora e ancora il sentimento di ciò che è grande e sublime avremmo di certo vinto la morte). Invece par quasi di sentirsi tirare per i lembi o le tasche della giubba, come se dei fantasmi, questi sì incattiviti, volessero chiamarci dicendo che le cose “belle e sante” possono aspettare, che nessuno può ad esse togliere nulla (solo il tempo forse un po’ le affatica), mentre invece è ora il momento di togliersi l’abito nobile e tornare a insozzarsi di fango e di loto.
Adesso però, se è così, io non voglio farla punto lacrimosa, e neppure poetica, e non voglio affatto rammentare l’Italia piangente sul monumento dell’Alfieri, né ripercorrere rattristato le navate e lamentarmi ad ogni passo per via del confronto, né fermarmi infine sulla pietruzza povera povera che rammenta fra i grandi il caro Gentile (tanto anche a lui nessuno del “suo” può togliere nulla…) No, non immagino che a tirarmi per la giubba siano loro, i grandi: e perché poi fra i tanti proprio me? No! Cari amici, i miei fantasmi sono altra gente, sono tutti quei poveracci, gente dozzinale e di poco conto che sono morti perché volevano una Italia migliore. Tutta quella gentuccia finita nel mucchio degli ossari o chissà dove, che non era in grado di elaborare nobili concetti, ma che in cuor suo ardeva, come la vecchietta che non conosceva preghiere e rivolta all’Altissimo recitava in ginocchio di “scarpe e di zoccoli”, a ore, con perfino le lacrime agli occhi, tanto era convinta e profonda la sua rogazione. Tutti quelli che, ora di destra ora di sinistra, ma ancora dapprima, da quando il piombo era austriaco ed ancora prima, sono morti per gli ideali della Patria, per quello in cui credevano, oppure per sbaglio travolti da cose più grandi di loro si sono ammazzati fra loro nella guerra civile. Ma ci pensate amici cari a quei giovani di vent’anni, poco più poco meno, morti ad El Alamein; a quelli bruciati nei carrarmati dell’Ariete o congelati nelle steppe o sul Don? Oppure con donne vecchi e bambini fucilati proditoriamente nei nostri paesi, ovvero trucidati solo perché portavano una camicia nera. Non ci chiamano forse rivoltandosi nelle loro tombe per la spavalda, impudente cialtroneria di tutta la nostra cosiddetta “classe dirigente”? Per questa povera Italia nelle mani di una masnada di cialtroni, di furbi e mascalzoni d’ogni tipo. Ma com’è stato possibile ridursi così?
Per decenni – mi ripeto, lo so – noi di Destra abbiamo creduto che l’onestà, il prestare fede alla parola data, alla stretta di mano, fossero valori per cui valeva la pena spendere qualcosa di sé. Che i nostri valori, in cui credevamo fermamente – e io continuo a crederci ancora – meritassero anche il sacrificio ingiusto (rammento i fratelli Mattei, il Ramelli, il Mantekas e molti altri); per decenni abbiamo guardato con disgustato disprezzo alle malefatte della partitocrazia, agli intrallazzi, ai giochetti di palazzo; alle ruberie, alle spartizioni clientelari, allo sperpero del pubblico denaro... Abbiamo subito esclusioni, angherie... Ed oggi eccoci qua, disgustati dei nostri, il cui leader massimo, il “condottiero” ha portato la sua truppa allo sbaraglio, nella spiritata follia della disfatta: come nel bunker di Berlino (ma senza suicidio finale – purtroppo –) o nel ridotto della Valtellina...
Quasi da non credere possibile: prima – lo sapete –, tutto da solo ha deciso per il matrimonio col Cavaliere e, come il pifferaio magico, s’è portato dietro i topastri, poi quando questi, volenti o no sono quasi tutti annegati, ha deciso ambiguamente di fare retromarcia, non si sa in nome di quale disegno, quasi lui fosse il “mondo”, la “via”, la “verità”, la “vita”... lasciando i malcapitati nella non facile necessità di decidere se continuare ad affogare in un mare di (***), oppure fare retromarcia anche loro, continuando a seguire un (presidente della Camera) che non sa dove andare, ma che nel frattempo, da “uomo” di destra ha inverti il proprio linguaggio, e c’è da immaginare anche (se possibile) il proprio pensiero. Insomma seguire una sorta di Trans(politico), dove e come nessuno ha capito...
Hanno ragione i buoni italiani a rigirarsi incazzati nella tomba! A far tremare le lapidi degli ossari! Neppure alla corte di Papa Alessandro, che pure in congiura e tradimento era maestro, si era giunti a tanto. Ovvero, almeno lì un qualche disegno politico, fra ammazzamenti e festini, incesti e sevizie, il buon Machiavegli c’insegnava a trovarlo… In questo casino, perdonatemi, non c’è neppure codesto. Solo sempre più in basso, come presi da una cieca e folle volontà di distruggere ogni cosa, quasi maniacalmente a voler attizzare la rivolta, l’ottusa reazione delle viscere di qualcuno che forse colpirà assurdamente, come sempre accade. E come al solito, si dice: “pagherà il giusto per il peccatore”. Perchè in questo marasma solo ciò, purtroppo, c’è da aspettarsi. Altro che pacificazione nazionale! In un momento come questo, con molti nostri concittadini senza lavoro, che non sanno dove rigirarsi; con le aziende che chiudono, questi pensano alle “manovre” o agli “intrighi” di palazzo. Ci manca solo una Maria Antonietta che dica: Il popolo non ha pane? Che mangino le brioches!
Che schifoso spettacolo quando il cane si rivolta al padrone che l’ha levato dal canile, e dopo che volontariamente l’ha seguito festoso, fra guaiti e salti, scodinzolando e leccando la mano, come Melampo nottetempo si accorda con le faine per spartirsi le galline...
Ora io non so come andranno a finire le tristi “faccende” di questo paese, mi auguro solo che al cane sia data una sonora lezione, e, come si dice, una volta toccato il fondo, non si possa far altro che risalire, anche se in verità ci credo poco, dato che con questi personaggi ritengo non si possa andare da nessuna parte, ed altri in giro non ne vedo. Purtroppo.

Bruno Stepic

San Martino, 3 dicembre 2009 (San Francesco Saverio)

Le opere riprodotte (malamente fotografate a mano libera con poca luce) sono di Libero Andreotti e si trovano nel Palazzo del Podestà in Pescia, dove sono ben conservate ma poco visitate.
b.s.