martedì 30 giugno 2009

clima "bipolare"






Sono senz’altro la maggioranza assoluta quanti sostengono che il bipolarismo costituisce un deciso passo in avanti rispetto al “mercato delle vacche” che il sistema proporzionale generava. E forse da codesto punto di vista può apparire necessario dar loro ragione. Ma la questione non mi pare sia definitivamente risolta una volta per tutte. E’ infatti nostro costume nazionale quello degli “innamoramenti”, salvo poi trovarsi ad affrontare repentine ed altrettanto irragionevoli inversioni di marcia. Ma l’amore, si sa, per sua natura è cieco ed irragionevole.
Io ritengo invece, pur non apprezzando punto i funambolismi ed i ricatti parlamentari operati dai partitini nella cosiddetta prima repubblica, che si debbano analizzare criticamente anche i difetti, molti ed evidenti, di questa pseudo panacea bipolare, a mio vedere una delle cause, forse anche la principale, dello stato di confusione e regressione culturale in cui versa la politica contemporanea nostrale e nell’insieme, in una sorta di perverso ping-pong, tutta la società di cui codesta è specchio e viceversa.
La questione “bipolare”, che si collega – decisamente – all’osservazione relativa alle “ideologie” (nell’ultimo post), mi pare meriti quindi una ulteriore riflessione. Ritengo infatti che – e mi permetto un esempio banale –, come per ciascuno di noi è necessario sapere dove si intende andare, allorquando si traggono gli abiti dall’armadio, anche nella gestione di uno Stato, per adottare provvedimenti normativi e strategie di governo, sia necessario (almeno) conoscere quali fini ci si prefigge di conseguire. A meno che non si intenda la gestione della cosa pubblica, una sorta di agnostica e puramente notarile gestione dell’esistente, indifferente ai bisogni reali, alle ligittime aspettative, a farla breve ai destini di milioni di persone. Insomma, forse è bene che non vi sia più la suggestione dei “modelli” ideologici: tutto sommato innaturali, limitanti ed inadeguate gabbiette all’interno delle quali si pretendeva di imprigionare tutta la realtà, ma non è certo bene che di contro si sia precipitati nel nulla, e che i cittadini di questo Stato non riescano manco ad intravedere un’idea, un progetto del proprio futuro in cui credere, su cui poggiare le proprie speranze, per la quale giustificare i propri sacrifici o per realizzare il quale mettersi con nuova lena al lavoro fiduciosi. Un fine, insomma, che in certo qual modo, al pari delle ideologie, ancorché assai più blando, certo meno ottuso, schematico e unilaterale, inducesse gli uomini a superare il proprio ristretto interesse particolare in funzione di qualcosa di più nobile ed alto.
Il fatto che mi inquieta di più, che più turba il mio senso civico e sociale, è infatti questa eccessiva tendenza alla divisione, alla frammentazione, all’individualismo; questo inespresso ma quotidianamente praticato pensare solo al proprio tornaconto, ad arraffare alla svelta quanto più possibile in un clima di qualunquistica indifferenza, in questa condizione da “o Franza o Spagna, basta che se magna”. Insomma, paradossalmente una situazione che pare proprio una conseguenza di quell’assetto politico bipolare che la frammentazione (quanto meno parlamentare) al contrario voleva ridurre. Insomma, mi sembra che si stiano acuendo i mali che scaturirono proprio, forse per reazione, dal “fervore” partecipativo degli anni ’70 ed ’80, che, a petto degli infiniti comitati, come risultato produsse addirittura l’indifferenza fra vicini di casa, o estrema conseguenza, l’eccessivo individualismo che denunciamo.
Così oggi che, per tutto, e addirittura nei partiti (i quali in quanto già “parte” dovrebbero accomunare al loro interno persone che intendono perseguire i medesimi obiettivi) è divisione e lotta, frammentazione personalistica, come accade in certi casi di naufragio, quando ciascuno cavate le scarpe annaspa sgomitando qua e là, incurante di altro che non sia la propria salvezza, che non sia il proprio interesse immediato (salvo rarissime eccezioni peraltro al solito confermative della regola).
E’ un fatto che nel sistema bipolare la parte centrale dell’elettorato, cosiddetta moderata (da noi in modo anomalo occupata tradizionalmente da elettori di ispirazione cattolica), sia determinante alla formazione delle maggioranze elettorali, va da se quindi che gli opposti schieramenti, di necessità, scolorano sempre più le propri impostazioni (fino a perdere ogni residuo connotato ideologico, fino a scopiazzare perfino i programmi) per accattivarsi il consenso di codesta esigua, eppure determinante area elettorale (la quale peraltro, essendo sensibilmente connotata da “ideologia” religiosa, costringe ambedue gli schieramenti ad atteggiamenti quanto meno ambigui sul piano della laicità dello Stato – ma questo certo è ancora altro problema –). Così è che le differenze non sono più punto di sostanza. Come accade in certe gelaterie, una stessa base viene diversamente variegata a seconda dei gusti del cliente. Questo finisce con lo spostare il problema dalla sostanza all’apparenza, all’effimero piacere del gusto, o dell’olfatto, o della vista... E la lotta non è più finalizzata alla realizzazione di un modello, al conseguimento di obiettivi o ad un progetto, ma alla mera conquista della gestione del potere da parte di opposti clan di una medesima casta. Proprio come accade fra le famiglie camorristiche del napoletano.
Così è che com’è successo nell’ultima tornata elettorale, nessuno sente più parlare di questo o quel contenuto, ma, avendo più o meno tutti preso atto che il mondo che circonda vive principalmente di “immagine”, che tutto o quasi si basa sull’immagine, che tutto o quasi è “virtuale”, inconsistente, lontano ed effimero, la lotta si incentra quasi esclusivamente sulla demolizione dell’immagine dell’avversario. Così mi pare stiano le cose, peraltro sotto gli occhi di tutti. Una situazione, un quadro politico, un’offera, che par quasi tagliata con l’accetta da un boscaiolo incapace. Una situazione “grossolana” dove se il Pd ti pare troppo poco agguerrito finisci nella padella del sanculotto di turno, o nella macedonia delle farneticazioni su un mondo che non c’è più; se al contrario ti pare troppo moderato il Pdl o non ti gusta il Cavaliere non ti resta alternativa che affidarti a Bossi, a Borghezio a Calderoli. Salvo poi non optare per quel pierino-pretino-bravino che aspira a rifare la vecchia Dc, con tutti i danni che codesto comporterebbe. Ma purtroppo il troiaio bipolare, a codesto finirà per portare (dopo il congresso di settembre infatti, se il Franceschini sarà minoritario, la sua componente non avrà alternativa: o accettare tinte più accese finalizzate ad un “recupero” dell’elettorato assorbito dall’Idv, o tornare all’ovile assieme a Casini. Ma non divaghiamo.)
Ho più volte sostenuto, infatti, in questo blog, l’assurdità delle innaturali “ammucchiate” che hanno visto condensarsi forze da una parte e dall’altra che nulla hanno a che spartire come patrimonio culturale e politico: Peppone e Don Camillo, ovvero preti e mangiapreti, ovvero, dall’altra parte: ex missini, ex socialisti, ex democristiani, ex radicali, ex repubblicani… Delle immangiabili “marmellate” il cui ingrediante principale, ove – a livello più “alto” – non sia il potere e la gestione del carrozzone ad esclusivo beneficio di parenti, amici, amici degli amici, mariti della amanti da tenere buoni ed impegnati... – a livello dell’elettorato – è l’odio instillato ad arte nei confronti dell’avversario, la cui demolizione pare essere l’unico vero impegno di politici, editori, pennivendoli ed “intelligentissimi” radical-chic da salotto buono. Laddove, come in tutti i momenti di crisi, occorrerebbe rinsaldare legami e coesioni interne e – so di apparire assai ingenuo –, remare tutti dalla medesima parte. Invece, come si è visto, perduta per strada ogni colorazione ideologica, ogni residua permeazione filosofica ed annullate progressivamente le differenze fra gli opposti schieramenti, in assenza di progetti politici chiari, differenti e ben riconoscibili, le diversità che permangono attengono poco più che la sfera dell’opinione. Anzi a farla da padrone nel più generale e nefasto disorientamento, sono il gossip e la maldicenza.
Si tratta purtroppo di ben più che segnali preoccupanti di un declino morale e civile che va "tingendo" ogni cosa; in una situazione così complessa, in un atmosfera così irrespirabile che anche le forze sane, che pure vi sono, risultano così annichilite a non essere capaci di coagularsi e spazzare via questa marmaglia di politicanti incapaci, di assoluti mascalzoni, meritevoli, come scrivevo qualche giorno fa, di essere presi soltanto a calci nel culo.

Bruno Stepic

San Martino, 30 giugno 2009, SS. Primi Martiri

venerdì 26 giugno 2009

non ho nulla da dire







So che in molti hanno visitato questo blog attendendosi da
me un qualche commento sulle ultime vicende scandalistico – elettorali. Non ho nulla da dire. Gli sciocchi non capirebbero comunque neppure la semplice perplessità, e gli intelligenti hanno, appunto, in quanto tali, gli strumenti necessari per intelligere in quanto accade e farsene un adeguato concetto.
Io, sottovoce, quasi in un borbottare fra me e me come fanno certi vecchi, perché non è più tempo ormai di gridare al vento la propria incazzatura, ritengo che il pensiero debba proiettarsi in avanti, molto in avanti, e, come è stato in tante altre epoche, sforzarsi di progettare l’Italia futura, che però personalmente, al momento, malgrado gli sforzi non riesco nemmeno a intravedere. Anche se ritengo fortemente che qualcosa debba essere fatto, che qualcosa (tutto o quasi) si debba cambiare. Perché, delle due una: o si rinunzia definitivamente alla civiltà accettando l’anarchia, la barbarie, oppure occorre ripristinare un sistema di regole, che siano certe, fortemente e il più largamente possibile condivise (almeno da quanti hanno interesse a che un futuro di civiltà possa ancora esistere), non foss’altro per non finire di mandare in malora ciò che ci è stato lasciato in eredità.
Si è sentito dir bene della morte delle ideologie. Sono perplesso: meglio le ideologie (con tutto quello che di pericoloso si portavano appresso) di questo mefitico, demenziale nulla; di questa dilagante gangrena, di questo trionfo dell’imbecillità, di questo primato dell’opinione in cui il pensiero più “alto” (ammesso che uno possa esservene) affoga, vanificato, annullato dal numero esorbitante di sciocchezze e banalità quotidiane. Quando trionfano, come oggi accade, il tutto e il suo contrario, e si annullano reciprocamente com’è naturale, a tutti i livelli, in tutta e per tutta la società, non resta più nulla da dire. Non resta che cercarsi un canto, vicino al fuoco, e tacere. E attendere. Del resto, basta pensare con un po’ di attenzione: il nodo è aggrovigliato, troppo. Non si riesce a vedere il modo di districarlo, di venirne fuori. Un tempo (di gente seria e sanguigna) pensavano le rivoluzioni a tagliare codesto nodo, a fare tabula rasa e ricominciare tutto da capo. Ma noi oggi non crediamo più neppure a quelle, perché abbiamo imparato che di nuovo trionfano i furbi; che come al solito pagano i “giusti” per i peccatori; pagano i “bischeri” che passavano di lì per caso e guarda caso i loro aguzzini (sempre i cerca di un capro espiatorio che possa sostituirsi a loro) son proprio quelli contro i quali la “rivoluzione” aveva preso il via. Tant’è!
Epperò di codesta rivoluzione si sente il bisogno. Una ideale rivoluzione in cui le persone serie ed oneste (e fortunatamente in giro ve ne sono ancora molte), quelle per intendersi che auspicano, anzi vogliono fortemente realizzare il bene della società, presi per l’orecchio ed accompagnati a casa a forza di ripetuti calci nel culo gli attuali politicanti, i vari mestatori dell’una e dell’altra parte, e di quell’altra ancora, sospendano temporaneamente tutte le discussioni su problemi e soluzioni che potrebbero divederli, per mettersi d’accordo e riscrivere, se del caso, le regole del “gioco”. E’ infatti l’ora di smetterla con l’attuale cialtronesco equilibrio su cui “destra” e “sinistra” – tanto per semplificare –, si reggono, costringendo i cittadini a mangiare merda ogni giorno pur di non rivedere in giro le facce degli uni o degli altri, in una situazione grottesca fino al parossismo, dove chi si sdegna ora degli uni ora degli altri, chi ancora sente in sé ribollire i singulti dell’incazzatura, finisce nelle grinfie del giustizialismo sommario del Robespierre di turno o, che poi è la stessa cosa, fra le braccia di quel rozzo tribuno delle plebi che vorrebbe prenderci per il culo con i suoi riti dell’ampolla (…). Ecco a cosa porta la “disperazione”. Qualcuno potrebbe obiettare che il panorama è incompleto, che le opzioni sono molteplici, variegate. E’ vero: ho dimenticato Pancio Pardi, la Carithas e giù di lì. Perdonate! E il germe interno, della divisione, che ci portiamo nel sangue da secoli, non ci aiuta a punto a trovare quella univoca volontà, ancorché temporanea, che sarebbe necessaria ad uscire dalla crisi.
Amici cari, non siamo messi punto bene! E più si guarda con attenzione, più si cerca di comprendere, peggio si finisce con lo stare: viene quasi da mettersi a correre istericamente all’intono, per tutto, cercando, come il topolino, una via di uscita che non c’è. Sono eccessivamente pessimista? No, il non esserlo mi rattrista ulteriormente. E credetemi anzi, da tempo ho smesso il costume mentale dei giovani, che riducono tutto ai tratti contrastati della xilografia, nella quale quello che non è bianco deve di forza essere nero. Ho compreso con esperienza, ragione, volontà, anche forzando l’istinto semplificatore, che tutto ha da essere su scale di grigio. Solo ai fiori ed a poche altre cose è consentito accendersi altrimenti. E’ solo che il tempo stringe, ed ogni buon padre vorrebbe lasciare ai figlioli tutte le cose sistemate ben bene, a modino, come si dice, e qui, invece non vi è altro che il timore che i figlioli si scannino l’un l’altro, e finiscano col mandare in malora ogni cosa. Non il troiaio che gli lasciamo noialtri, ma tutte le cose belle e sante che indegnamente ci furono lasciate.

Bruno Stepic

San Martino, 26 giugno 2009, S. Virgilio

martedì 2 giugno 2009

Giorgio Morandi

Giorgio Morandi - foto di Herbert List











Accontento un amico proponendo sul blog alcune opere del pittore bolognese Giorgio Morandi.
Alcuni lo accusarono di dipingere le mutandine della serva: certo per scegliere una simile lingerie dova trattarsi di una ragazza assai raffinata, educata nella migliore società... Ma probabilmente codesti "detrattori" malignetti dovevano prediligere una pittura più sanguigna, virile...
Morandi invece dimostra con chiarezza ed insegna come col "nulla" possano farsi dei veri capolavori. Certo considerati tali nel circoscritto hortus del Novecento