venerdì 26 giugno 2009

non ho nulla da dire







So che in molti hanno visitato questo blog attendendosi da
me un qualche commento sulle ultime vicende scandalistico – elettorali. Non ho nulla da dire. Gli sciocchi non capirebbero comunque neppure la semplice perplessità, e gli intelligenti hanno, appunto, in quanto tali, gli strumenti necessari per intelligere in quanto accade e farsene un adeguato concetto.
Io, sottovoce, quasi in un borbottare fra me e me come fanno certi vecchi, perché non è più tempo ormai di gridare al vento la propria incazzatura, ritengo che il pensiero debba proiettarsi in avanti, molto in avanti, e, come è stato in tante altre epoche, sforzarsi di progettare l’Italia futura, che però personalmente, al momento, malgrado gli sforzi non riesco nemmeno a intravedere. Anche se ritengo fortemente che qualcosa debba essere fatto, che qualcosa (tutto o quasi) si debba cambiare. Perché, delle due una: o si rinunzia definitivamente alla civiltà accettando l’anarchia, la barbarie, oppure occorre ripristinare un sistema di regole, che siano certe, fortemente e il più largamente possibile condivise (almeno da quanti hanno interesse a che un futuro di civiltà possa ancora esistere), non foss’altro per non finire di mandare in malora ciò che ci è stato lasciato in eredità.
Si è sentito dir bene della morte delle ideologie. Sono perplesso: meglio le ideologie (con tutto quello che di pericoloso si portavano appresso) di questo mefitico, demenziale nulla; di questa dilagante gangrena, di questo trionfo dell’imbecillità, di questo primato dell’opinione in cui il pensiero più “alto” (ammesso che uno possa esservene) affoga, vanificato, annullato dal numero esorbitante di sciocchezze e banalità quotidiane. Quando trionfano, come oggi accade, il tutto e il suo contrario, e si annullano reciprocamente com’è naturale, a tutti i livelli, in tutta e per tutta la società, non resta più nulla da dire. Non resta che cercarsi un canto, vicino al fuoco, e tacere. E attendere. Del resto, basta pensare con un po’ di attenzione: il nodo è aggrovigliato, troppo. Non si riesce a vedere il modo di districarlo, di venirne fuori. Un tempo (di gente seria e sanguigna) pensavano le rivoluzioni a tagliare codesto nodo, a fare tabula rasa e ricominciare tutto da capo. Ma noi oggi non crediamo più neppure a quelle, perché abbiamo imparato che di nuovo trionfano i furbi; che come al solito pagano i “giusti” per i peccatori; pagano i “bischeri” che passavano di lì per caso e guarda caso i loro aguzzini (sempre i cerca di un capro espiatorio che possa sostituirsi a loro) son proprio quelli contro i quali la “rivoluzione” aveva preso il via. Tant’è!
Epperò di codesta rivoluzione si sente il bisogno. Una ideale rivoluzione in cui le persone serie ed oneste (e fortunatamente in giro ve ne sono ancora molte), quelle per intendersi che auspicano, anzi vogliono fortemente realizzare il bene della società, presi per l’orecchio ed accompagnati a casa a forza di ripetuti calci nel culo gli attuali politicanti, i vari mestatori dell’una e dell’altra parte, e di quell’altra ancora, sospendano temporaneamente tutte le discussioni su problemi e soluzioni che potrebbero divederli, per mettersi d’accordo e riscrivere, se del caso, le regole del “gioco”. E’ infatti l’ora di smetterla con l’attuale cialtronesco equilibrio su cui “destra” e “sinistra” – tanto per semplificare –, si reggono, costringendo i cittadini a mangiare merda ogni giorno pur di non rivedere in giro le facce degli uni o degli altri, in una situazione grottesca fino al parossismo, dove chi si sdegna ora degli uni ora degli altri, chi ancora sente in sé ribollire i singulti dell’incazzatura, finisce nelle grinfie del giustizialismo sommario del Robespierre di turno o, che poi è la stessa cosa, fra le braccia di quel rozzo tribuno delle plebi che vorrebbe prenderci per il culo con i suoi riti dell’ampolla (…). Ecco a cosa porta la “disperazione”. Qualcuno potrebbe obiettare che il panorama è incompleto, che le opzioni sono molteplici, variegate. E’ vero: ho dimenticato Pancio Pardi, la Carithas e giù di lì. Perdonate! E il germe interno, della divisione, che ci portiamo nel sangue da secoli, non ci aiuta a punto a trovare quella univoca volontà, ancorché temporanea, che sarebbe necessaria ad uscire dalla crisi.
Amici cari, non siamo messi punto bene! E più si guarda con attenzione, più si cerca di comprendere, peggio si finisce con lo stare: viene quasi da mettersi a correre istericamente all’intono, per tutto, cercando, come il topolino, una via di uscita che non c’è. Sono eccessivamente pessimista? No, il non esserlo mi rattrista ulteriormente. E credetemi anzi, da tempo ho smesso il costume mentale dei giovani, che riducono tutto ai tratti contrastati della xilografia, nella quale quello che non è bianco deve di forza essere nero. Ho compreso con esperienza, ragione, volontà, anche forzando l’istinto semplificatore, che tutto ha da essere su scale di grigio. Solo ai fiori ed a poche altre cose è consentito accendersi altrimenti. E’ solo che il tempo stringe, ed ogni buon padre vorrebbe lasciare ai figlioli tutte le cose sistemate ben bene, a modino, come si dice, e qui, invece non vi è altro che il timore che i figlioli si scannino l’un l’altro, e finiscano col mandare in malora ogni cosa. Non il troiaio che gli lasciamo noialtri, ma tutte le cose belle e sante che indegnamente ci furono lasciate.

Bruno Stepic

San Martino, 26 giugno 2009, S. Virgilio

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