giovedì 3 dicembre 2009

mala tempora currunt











Cari amici, avevo intenzione di dedicare una paginetta ad un grande scultore, la cui opera, rivista dopo molti anni, mi ha aperto l’animo accendendolo con moti sinceri di sentimento e ammirazione, quasi un fanciullesco stupore: cosa rara, che accade solo per le cose “belle e sante”.
E avevo anche pensato, continuando a parafrasare Foscolo, spero non a sproposito e con la necessaria umiltà, di aprire quel mio scritterello con una sorta di incipit, ancora dai Sepolcri: “a egregie cose il forte animo accendono…” Sì, amici cari, perché quell’emozione e le sensazioni intense che quei modelli in gesso hanno suscitato nel profondo mi hanno dato conforto, quasi l’illusione che anche il mio animo, per un attimo, potesse aver trovato lo stesso vigore del Poeta: pur restando ben consapevole della diversità, dato che laddove nel Foscolo ad accendere il sentimento erano state probabilmente la memoria, la riflessione, la grandezza del genio… qui invece aveva operato la forza dell’arte, quell’empatia che annullando del tutto il tempo c’illude in un essere universale alla cui “mensa” sublime ci è dato per un momento di partecipare.
Sì, cento cose vi sarebbe da dire, cento vie, pensieri diversi eppure coerenti vi sarebbe da seguire. Forse un giorno mi ci proverò. Anche se Libero Andreotti (è lui lo scultore capace di codesti prodigi) meriterebbe assai più e assai meglio di quanto io sia in grado. Senz’altro l’esser cavato con gli onori che merita dall’oblio di codesto avello (ancorché nobile luogo), quanto meno dagli Studi, non di giornata, come si usa, ma di anni interi. Sarà stato forse codesto riflettere che, oltre il vigore dei sentimenti, m’ha richiamato i foscoliani monumenti.
– Perché non ora? – Penserà un qualche amico. Perché purtroppo le cose del giorno ce la mettono tutta nel richiamarmi al loro indecente, mefitico squallore (del resto se potessimo far durare ancora e ancora e ancora il sentimento di ciò che è grande e sublime avremmo di certo vinto la morte). Invece par quasi di sentirsi tirare per i lembi o le tasche della giubba, come se dei fantasmi, questi sì incattiviti, volessero chiamarci dicendo che le cose “belle e sante” possono aspettare, che nessuno può ad esse togliere nulla (solo il tempo forse un po’ le affatica), mentre invece è ora il momento di togliersi l’abito nobile e tornare a insozzarsi di fango e di loto.
Adesso però, se è così, io non voglio farla punto lacrimosa, e neppure poetica, e non voglio affatto rammentare l’Italia piangente sul monumento dell’Alfieri, né ripercorrere rattristato le navate e lamentarmi ad ogni passo per via del confronto, né fermarmi infine sulla pietruzza povera povera che rammenta fra i grandi il caro Gentile (tanto anche a lui nessuno del “suo” può togliere nulla…) No, non immagino che a tirarmi per la giubba siano loro, i grandi: e perché poi fra i tanti proprio me? No! Cari amici, i miei fantasmi sono altra gente, sono tutti quei poveracci, gente dozzinale e di poco conto che sono morti perché volevano una Italia migliore. Tutta quella gentuccia finita nel mucchio degli ossari o chissà dove, che non era in grado di elaborare nobili concetti, ma che in cuor suo ardeva, come la vecchietta che non conosceva preghiere e rivolta all’Altissimo recitava in ginocchio di “scarpe e di zoccoli”, a ore, con perfino le lacrime agli occhi, tanto era convinta e profonda la sua rogazione. Tutti quelli che, ora di destra ora di sinistra, ma ancora dapprima, da quando il piombo era austriaco ed ancora prima, sono morti per gli ideali della Patria, per quello in cui credevano, oppure per sbaglio travolti da cose più grandi di loro si sono ammazzati fra loro nella guerra civile. Ma ci pensate amici cari a quei giovani di vent’anni, poco più poco meno, morti ad El Alamein; a quelli bruciati nei carrarmati dell’Ariete o congelati nelle steppe o sul Don? Oppure con donne vecchi e bambini fucilati proditoriamente nei nostri paesi, ovvero trucidati solo perché portavano una camicia nera. Non ci chiamano forse rivoltandosi nelle loro tombe per la spavalda, impudente cialtroneria di tutta la nostra cosiddetta “classe dirigente”? Per questa povera Italia nelle mani di una masnada di cialtroni, di furbi e mascalzoni d’ogni tipo. Ma com’è stato possibile ridursi così?
Per decenni – mi ripeto, lo so – noi di Destra abbiamo creduto che l’onestà, il prestare fede alla parola data, alla stretta di mano, fossero valori per cui valeva la pena spendere qualcosa di sé. Che i nostri valori, in cui credevamo fermamente – e io continuo a crederci ancora – meritassero anche il sacrificio ingiusto (rammento i fratelli Mattei, il Ramelli, il Mantekas e molti altri); per decenni abbiamo guardato con disgustato disprezzo alle malefatte della partitocrazia, agli intrallazzi, ai giochetti di palazzo; alle ruberie, alle spartizioni clientelari, allo sperpero del pubblico denaro... Abbiamo subito esclusioni, angherie... Ed oggi eccoci qua, disgustati dei nostri, il cui leader massimo, il “condottiero” ha portato la sua truppa allo sbaraglio, nella spiritata follia della disfatta: come nel bunker di Berlino (ma senza suicidio finale – purtroppo –) o nel ridotto della Valtellina...
Quasi da non credere possibile: prima – lo sapete –, tutto da solo ha deciso per il matrimonio col Cavaliere e, come il pifferaio magico, s’è portato dietro i topastri, poi quando questi, volenti o no sono quasi tutti annegati, ha deciso ambiguamente di fare retromarcia, non si sa in nome di quale disegno, quasi lui fosse il “mondo”, la “via”, la “verità”, la “vita”... lasciando i malcapitati nella non facile necessità di decidere se continuare ad affogare in un mare di (***), oppure fare retromarcia anche loro, continuando a seguire un (presidente della Camera) che non sa dove andare, ma che nel frattempo, da “uomo” di destra ha inverti il proprio linguaggio, e c’è da immaginare anche (se possibile) il proprio pensiero. Insomma seguire una sorta di Trans(politico), dove e come nessuno ha capito...
Hanno ragione i buoni italiani a rigirarsi incazzati nella tomba! A far tremare le lapidi degli ossari! Neppure alla corte di Papa Alessandro, che pure in congiura e tradimento era maestro, si era giunti a tanto. Ovvero, almeno lì un qualche disegno politico, fra ammazzamenti e festini, incesti e sevizie, il buon Machiavegli c’insegnava a trovarlo… In questo casino, perdonatemi, non c’è neppure codesto. Solo sempre più in basso, come presi da una cieca e folle volontà di distruggere ogni cosa, quasi maniacalmente a voler attizzare la rivolta, l’ottusa reazione delle viscere di qualcuno che forse colpirà assurdamente, come sempre accade. E come al solito, si dice: “pagherà il giusto per il peccatore”. Perchè in questo marasma solo ciò, purtroppo, c’è da aspettarsi. Altro che pacificazione nazionale! In un momento come questo, con molti nostri concittadini senza lavoro, che non sanno dove rigirarsi; con le aziende che chiudono, questi pensano alle “manovre” o agli “intrighi” di palazzo. Ci manca solo una Maria Antonietta che dica: Il popolo non ha pane? Che mangino le brioches!
Che schifoso spettacolo quando il cane si rivolta al padrone che l’ha levato dal canile, e dopo che volontariamente l’ha seguito festoso, fra guaiti e salti, scodinzolando e leccando la mano, come Melampo nottetempo si accorda con le faine per spartirsi le galline...
Ora io non so come andranno a finire le tristi “faccende” di questo paese, mi auguro solo che al cane sia data una sonora lezione, e, come si dice, una volta toccato il fondo, non si possa far altro che risalire, anche se in verità ci credo poco, dato che con questi personaggi ritengo non si possa andare da nessuna parte, ed altri in giro non ne vedo. Purtroppo.

Bruno Stepic

San Martino, 3 dicembre 2009 (San Francesco Saverio)

Le opere riprodotte (malamente fotografate a mano libera con poca luce) sono di Libero Andreotti e si trovano nel Palazzo del Podestà in Pescia, dove sono ben conservate ma poco visitate.
b.s.

venerdì 27 novembre 2009

Tric-trac! Chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori!









Rammento (chissà come mai e proprio oggi) che in una vecchia favola, che il nonno Mariano raccontava a mia madre e lei a me: la più sveglia e solerte di tre anatrine, sbarrando la porta col chiavistello esclamava: – Tric-trac! Chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori!
E il lupo (forse il più tardo e noto Ezechiele dei tre porcellini) restava fuori.
Si dirà: – E che c’entra!? C’entra che i ricordi non affiorano punto a caso; e così come un profumo nell’aria ci rammenta un certo momento della nostra esistenza, così alcune situazioni o accadimenti odierni per una sorta di processo inverso mi hanno riportato alla memoria quella sorta di perentorio diktat.
Fu più o meno codesto, che il signor Fini accettò di subire dal Cav. B. alla vigilia delle ultime elezioni politiche; e fu più o meno in codesto modo che anche lui, il signor Fini, liquidò AN in pochi minuti, col placet, forse per alcuni obtorto collo, della totalità dei quadri dirigenti del partito, senz’altro nello sconcerto di gran parte della base e dei quadri intermedi, che di lì a poco, avrebbero visto la celebrazione di congressi farsa e la altrettanto frettolosa cancellazioni di valori, memoria recente e lontana e aspettative future, per l’incerta prospettiva di un’avventura senza riferimenti nel vuoto del più pragmatico opportunismo politico, su una chiatta la cui rotta è imposta via via dal mutare dei sondaggi o dalle personali esigenze del “principe” – si fa per dire! –.
Devo confessare, ma l’ho già detto in più occasioni, che quello che più mi sconcertò e dette quell’ amarezza (che dura tuttora) in codesto momento cruciale, non fu tanto la cialtronesca pochezza del capo, quanto la leggerezza e l’opportunismo con cui i gregari gli andarono dietro (di Francesco Storace dirò in altro momento), senz’altro più preoccupati della propria ri-candidatura che delle idee e dei valori in nome dei quali si trovavano eletti e dirigenti; che della responsabilità che avevano verso la base e quell’elettorato che aveva riposto in loro la propria fiducia e le proprie aspettative, le proprie speranze. Ed anzi, ad essere ancor più sinceri, di chi da decenni dava loro da mangiare ed una esistenza di privilegi. Già! Il posto! Scriveva Mino Maccari sul Selvaggio: “Sia fatto arrosto chi s’è messo a posto!”
Altri tempi, amici cari. Ma torniamo a noi, quello che il Nostro ha continuato a fare dopo l’ho bene o male descritto nell’ultimo post, ma è di stamani che la stampa nazionale dà conto delle ultime affermazioni del Cav. B., il quale ancora una volta avrebbe detto come la bella anatrina: – Tric-trac! Chi è dentro è dentro, chi è fuori e fuori! Ovvero: chi non sta con la maggioranza del Pdl (ovvero me!) può fare i bagagli.
Ed ora la domanda che si pone è questa: cosa faranno i nostri valorosi “colonnelli”? Seguiranno il signor Fini in una nuova avventura, incerta in quanto fuori dai valori della destra, perché costi egli si è collocato, oppure codesti “campioni” di coerenza verso i propri valori ed ideali, opteranno per la certezza del “posto” con la speranza della ri-candidatura?
Insomma... Signor Fini, come diceva quel proverbiuccio? Chi la fa l’aspetti! Sì, poco più di un anno fa al suo tric-trac la seguirono tutti, oggi forse, per i medesimi motivi “ideali” tutti l’abbandoneranno. E faranno assai bene!
Altri tempi, altri uomini: sto pensando al secondo dopoguerra, a quella classe dirigente che invece di riciclarsi con successo nella DC (o altrove: altri lo fecero a frotte) come avrebbe certo potuto, decise di dar vita al M.S.I. e per le proprie idee, i propri valori, le proprie speranze decise di battersi – e soffrire –, e stare al margine ostracizzata per decenni.
Io mi sento nel profondo (certo con umiltà) erede di costoro, e credo fermamente che non vi sia poltrona o prebenda o remunerazione che possa indurre a rinunziare alle proprie idee.
Ma voglio aggiungere anche un’altra considerazione, dato che non posso in alcun modo togliere il mio rispetto a quanti (alludo base, quadri intermedi ed ai tantissimi rappresentanti di A.N. eletti nelle Istituzioni: dai consigli circoscrizionali, a quelli regionali) quelle insane decisioni hanno subito, continuando loro malgrado a adempiere con correttezza ed onestà al loro mandato: orbene, non si è reso conto il signor Fini delle difficoltà che codesti si sono trovati di fronte confluendo nel Pdl? Difficoltà di rapporti, contingentamento delle cariche... conflitti per le candidature laddove assai frequentemente i “migliori” hanno dovuto chinare la testa di fronte al “numero” o alla cialtronbesca marioleria di certuni “forchettoni” riciclati o di avventurieri della politica rotti ad ogni pratica ed intrallazzo... Non si rendeva conto, il Nostro, che le sue continue esternazioni mentre affondavano il solco fra eletti di AN ed elettorato di riferimento aggiungevano a questi anche ulteriore difficoltà di rapporti all’interno del Pdl, se non addirittura ostracismo?
Ora io credo che si possa sempre ricominciare tutto da capo. Ciò almeno dimostra la storia, dalle catastrofi naturali alle guerre, eccetera eccetera. Ma sono anche convinto che tutto il male non venga per nuocere,... mi voglio solo augurare che se in qualche modo la Destra nazionale riuscirà a superare questa crisi, se riuscirà a spazzolarsi di dosso cialtroni ed avventurieri per giungere a cambiare tutto, ciò non sia come diceva il Gattopardo: ovvero che il cambiamento non sia affidato come quasi sempre succede a quelli che cambiano tutto per non cambiare un bel nulla.

Bruno Stepic

San Martino, 27 novembre 2009 (San Massimo, San Virgilio)

I disegni sono di J.B.D. Ingres

martedì 17 novembre 2009

E volle dar fuoco alle navi...









Cari amici,
vedo, con un po’ di senso di colpa, che in molti avete continuato a visitare questo blog. Mi domando se non fosse stato il caso di rientrare dalle “ferie” un po’ prima. Ma subito mi viene il dubbio che forse sarebbe meglio non rientrare mai più. Sono certo che intendete cosa voglio dire.
E non intendo per nulla iniziare col solito piagnisteo. In Italia oramai piangono tutti, e non sembrano saper fare altro. Non ci sono soluzioni né formule, chi le spiattella non è altro che il solito sciocco di turno. Penso infatti che la “matassa” della realtà sia così aggrovigliata che non sia più possibile oramai districarla. Né capire come stiano le cose. Né riesco a vedere (ma non sono veggente), chi sia in grado di brandire la scure.
Non vedo dunque nessun appiglio che possa consentire al buon senso, alla normale ragionevolezza, di interpretare i fatti per darsi una ragione degli accadimenti, dei non accadimenti.
Il buon Machiavelli ci insegnò ad interpretare e dedurre, ma più a trarre insegnamento dalla storia. E io in questi giorni, se mi guardo dietro le spalle, altro non riesco a vedere che gli spagnoli che, nel Cinquecento (proprio negli anni in cui Maestro Niccolò esiliato a San Casciano elaborava i fondamenti della Scienza Politica), approdati sulle coste dell’America centrale davano alle fiamme le proprie navi per non più fare ritorno. Per essere costretti ad andare sempre avanti nella loro opera di conquistadores. Domanderete: – a che prò, codesto pensiero? Già! – Risponderò riflettendo: – A che prò! Infatti di simile c’è solo (ma si tratta soltanto di una “immagine”) un signore che brucia le navi per non arretrare dal nulla in cui si è cacciato. Alludo al signor presidente Fini, il quale è voluto andare ad ogni costo nel PDL del Cav. Ma ora (novello democristiano) fa di tutto per remargli contro… Continua, chi riesce a comprenderne la ragione è bravo, a fare di tutto per allontanare definitivamente l’elettorato di riferimento di Alleanza Nazionale (in questo il suo dar fuoco alle navi) con dissennati proclami sinistresi (par proprio che abbia il terrore che quei coglioni dei cosiddetti colonnelli, facendo retromarcia dal PDL, lo scarichino lasciandolo ai propri deliri). Ma quel che è peggio che con codesto elettorato, oramai sbandato e senza punti di riferimento (del resto se tanti fossero stati disposti verso F.I. non avrebbero votato A.N.) non fa altro che alimentare il proprio “nemico mortale”: la Lega (o almeno ciò un tempo avrebbe essa dovuto rappresentare). L’unico partito politico decisamente nemico della Nazione e della sua unità. Fatto salvo, s’intende, qualche residuo beota vetero comunista malato d’Internazionale. I preti per oggi li lascio in pace! Han troppo da fare con altre faccenduole…
Così è dell’avventura “politica” del Nostro presidente, il quale, come diceva un caro amico citando spesso la “legge di Peeter”: ha raggiunti il massimo livello della propria incompetenza!
Cordialmente,
Vostro b. s.

San Martino, 17 novembre 2009

P.S. Non ho detto: – Sono finalmente rientrato dalle ferie! – Non l’ho detto!

domenica 19 luglio 2009

NATURA MORTA




per mancanza di idee geniali preferisco andarmene in ferie. Buone vacanze a tutti!

Un saluto cordiale,

Bruno


martedì 7 luglio 2009

Un pensiero di mezza estate. Quasi.





Cari amici, di faccia ne abbiamo una sola. Non va persa. Intendo dire, a quanti si occupano di Politica in prima persona, che spesso è meglio, assai meglio perdere le elezioni e non crucciarsi troppo; anzi, vi dirò, in certi casi sono addirittura convinto che si debba fortemente auspicare che questo si realizzi.
Intendo dire che se non si è in grado, una volta conseguita la vittoria elettorale, di dare le risposte adeguate alle richieste che vengono dalla nostra comunità (cosa del resto assai facile da prevedere), è meglio che quella vittoria non vi sia. A meno che, come spesso accade, si sia perso per strada il fine vero, la ragione stessa della Politica, cosa che si verifica molto spesso oramai, dappertutto oramai, in ogni schieramento purtroppo, allorquando si confonde o furbescamente si sostituisce alla Politica il mero esercizio del potere; allorquando al dovere, al servizio verso la nostra intera comunità – grande o piccola che sia fa lo stesso –, si sostituiscono (fuori della giusta misura) l’ambizione personale ed il proprio interesse: il quale ha una sua ragione di esistere quando è legittimo, diviene invece grave colpa quando è – anch’esso – smodato ed illegittimo.
Ma vi è un’altra colpa, grave anch’essa quanto la brama del potere camuffato da Politica, codesta colpa è nella truffa vera e propria dell’elettorato e risiede nell’incapacità, nell’inadeguatezza, nell’inettitudine di chi vince rispetto ai compiti che la vittoria gli consegna e gli impone. E chi, di noi, affiderebbe il timone della nave ad un nocchiero incapace ed inesperto? E che, lo faremmo provare? Certo che no! Potrebbe solo lui metterci in mezzo dichiarandosi abile, ma quale danno ne verrebbe a noi e alla nave? Anche Fetonte, incosciente e presuntuoso, convinse Apollo ad affidargli le redini del carro, ma quale danno ne venne?! Non si dovrebbe allora fare come Fetonte, in specie se il carro non è né nostro né di nostro padre, ma ad esso sono legati interessi ed aspettative di molti. Ma purtroppo da noi è rovesciata l’antica locuzione latina, e laddove si “dava” a tutti la cosa di nessuno,”res nullius” appunto, si è radicato l’insano costume che considera i “beni” di tutti al pari dei funghi (che per dirla parafrasando sui maccheroni del Boccaccio, chi più ne piglia più ne ha).
Ora qualcuno fra quanti seguono questo blog si domanderà per chi è e dove voglio andare a parare con questa rampogna. Stiano tranquilli, non è per loro. Solo l’invito a qualche caro amico, ad una attenta e pacata riflessione ad un mese esatto dal voto europeo, per il quale, d’acchito, mi ero vietato di dire qualcosa (Non ho nulla da dire, 26 giugno). Ma come il Manzoni tacerò non solo il nome dei personaggi che ho in mente, ma anche quello del luogo. Basti solo che si tratta di una città da “sempre” amministrata (in malo modo, anzi peggio, forse talvolta addirittura da ghigliottina – se i sanculotti locali con gli amici loro non fossero ciechi, muti e sordi –), …amministrata, dicevo, dalla cosiddetta sinistra, con la cieca – anche quella (muta e sorda) – complicità di una Dc, a suo tempo per lo più “compagna di merende”. Ma – si chiederà – il centrodestra, oggi, in quella città, cos’è? Politicamente, s’intende! Cosa rappresenta per tanti onesti e bravi cittadini, per tanti zelanti elettori che bramano il cambiamento dopo decenni? Certo una speranza! E senz’altro costì militano tante brave ed oneste persone, alle quali, credetemi, affiderei temporaneamente ogni mio avere, anche senza una ricevuta, ma, ma… ma vi sono, però, anche “nani” (con tutto il rispetto), ballerine, imbecilli di tutte le taglie, maldicenti, pettegole, perdigiorno, ruffiani, doppiogiochisti, inetti, incapaci, trappoloni, truffatorelli, strolaghi e ladri di galline! E presuntuosi, tanto sciocchi quanto immodesti. Ebbene? Penserà qualcuno. Sentitelo! Ecco l’anima candida!. E non ci sono, codesti, pari pari anche dall’altra parte? E che cosa pretendi, una foresta di alberi perfetti, tutti sani, dritti e riccamente fronzuti?
Per carità! Non fraintendiamo. Per casa mia vorrei il meglio, ma sono pure disposto ad accontentarmi. E allora vorrei solo che chi si propone fosse poi in grado di mantenere le promesse! Dato che le strade sono poche e strette, ed anche cambiando strada s’incontra sempre qualcuno. Rammentate cosa scrivevo all’inizio: di facce ne abbiamo una sola!
Già, si dirà, il solito vecchio, il solito brontolone, il solito rompi coglioni a cui non sta mai bene nulla! Forse. La questione è che per decenni ho chiamato nel deserto (o me lo sono immaginato), ho suggerito e raccomandato di studiare, di prepararsi perché la Politica, non come io la intendo, ma com’è e dev’essere, è cosa assai seria, richiede preparazione, rigore, rinunzie ed abnegazione, ed oggi, nell’ammucchiata che mi appare davanti, vedo per gran parte cialtroneria ed approssimazione; ho visto scegliere i candidati come vidi scegliere in caserma: il meccanico ed il barbiere furono mandati in cucina, il ristoratore di Cesenatico a fare il parrucchiere. Così la scelta dei candidati del Pdl: anzi, peggio, dato che nessuno è stato riformato in questa e mi immagino in altre città. Che tristezza! E non mi si dica, per carità, “mal comune mezzo gaudio!”
Sì, se non si era capito, sono decisamente incazzato. In primo luogo coi vari direttori d’orchestra, nazionali e locali; a cominciare dal signor Fini, e poi, non di meno, giù giù con tutta la schiera di luogotenenti, colonnelli, portaborse, controfigure e leccaculo, locali e nazionali che non hanno saputo opporgli un rifiuto, girargli spalle, fargli il gestaccio dell’ombrello o qualcos’altro altrettanto significativo. Sono incazzato, anzi di più, per tutti quelli che come me hanno militato nel Msi, prima e convintamene in An dopo, per tutti quelli che sono morti, che hanno rischiato la vita, per tutti quelli che hanno speso la loro vita per una idea di Nazione, sognando la pacificazione ed il bene dell’intera comunità; per tutti quelli che per la loro militanza politica sono stati ostracizzati, per quelli che non hanno trovato o hanno perduto il lavoro, per tutti quelli che l’Italia la volevano cambiare davvero, farla onesta, migliore; per quanti hanno rischiato e sofferto tutto quello perché intendevano un giorno potersi cimentare con le loro idee, vincenti, nel governo della nostra comunità nazionale, delle nostre comunità locali; per tutti quelli che come me han sempre pensato alla Politica con la dignità della lettera maiuscola.
Oh quante volte mi son soffermato ad ammirare il monumento funebre del Machiavelli in Santa Croce. Prima passavo dalla lapide di Gentile, poi dall’Italia piangente sull’arca di Vittorio Alfieri, ma poi, ancora lì, a qualche metro, mi fermavo e gettavo lo sguardo più in alto, dove una leggiadra Politica in marmo mostrava come il pensiero e la parola di Niccolò valessero in peso assai più dell’oro.
No! Ci si doveva ingaglioffire. E ingaglioffire e basta.

Ebbene, mio caro amico, che ti illudi nell’arte di schivare scrofe, porcelli e vecchi suini incrostati, ma che saltelli anche tu in codesta poltiglia mefitica immaginandoti chiamato un giorno al rango di pifferaio incantatore…
Meglio nessuno, all’intorno, credimi. Meglio il profumo del maggiociondolo e l’odore umido e intenso del sottobosco. Credimi!
O almeno fermati. Fermatevi. Pensate. E costruite un cavallo capiente.

Bruno Stepic
San Martino, 7 luglio 2009, San Claudio




P.S. Si riproducono alcune opere di George Grosz, ovvero Georg Ehrenfried Groß (Berlino, 26 luglio 1893 – Berlino, 6 luglio 1959)

sabato 4 luglio 2009

Artisti italiani: Arrigo Del Rigo



Non so se per motivi di spazio o per incomprensibile malafede, nella pagina biografica dedicata ad Arrigo Del Rigo, in http://www.pratoshop.com/perso_rigo.shtml , si scrive che « Rievocandone succintamente la vicenda, Ardengo Soffici scriveva nel Frontespizio (Dicembre 1939) queste righe: “Il 26 febbraio del ’32 Del Rigo morì in un’aura di tragedia e di mistero. Così modesto e candido com’era, egli non fu forse sorretto nel momento fatale, dalla coscienza del proprio valore. La sua morte prematura privò i parenti di un figlio bene amato, gli amici di un compagno indimenticabile, l’arte italiana di una luminosa speranza”.» Orbene, certo che Soffici non avrà inteso scrivere un saggio, epperò egli dedica una intera bella paginetta della rivista a questa giovane promessa, troppo precocemente stroncata. E non fa poco, il Soffici, a collocare questo giovane (una giovane promessa e sottolineo promessa) fra gli Artisti italiani, riconoscendogli un valore bel superiore all’oblio regalatogli dall’Italia e dalla Prato (la città di Del Rigo), felicemente democratiche e convintamene antifasciste.
Ma non intendo punto invischiarmi in una polemica che non mi interessa, dal momento che con chi è cieco di fronte ai fatti o in malafede non vi è ragione che tenga.

Rammento però, che una trentina di anni or sono avevo pensato di occuparmi di Del Rigo, scrivendo su lui un articolo o dedicandogli (forse) un intero numero di una arcimodesta pubblicazione che a quel tempo si pubblicava. Chiesi così, allo scultore Quinto Martini (ma ne avevo chiesto anche a Gino Brogi a Pietro Bugiani e Giulio Pierucci), se rammentava Del Rigo: – Certo, che lo rammento! – Incalzo subito, e prese a raccontare. – Fammi un favore – gli dissi alla fine. – Tutte codeste cose, scrivile!
E così un paio di mesi dopo ci incontrammo in fonderia e mi consegnò la “sua memoria”, che aveva affidata a tre cartelle dattiloscritte le quali, tornatemi fra le mani in questi giorni, rendo pubbliche volentieri.
Certo, a rileggere quanto scrive Quinto Martini mi accorgo che senz’altro avrà integrato le lacune della memoria con la sua fervida fantasia d’artista, ma tant’è! Senz’altro si tratta di quanto il Martini amava rammentare del suo coetaneo più sfortunato.




Ultimo incontro con
Arrigo Del Rigo





È passato più di mezzo secolo dalla tragica scomparsa dell’amico, e molti ricordi si sono sfocati perdendo il loro contorno reale. Ma, fra i tanti incontri con lui, uno è rimasto ben chiaro nella mia mente; ed è 1'ultimo del 1932, poco prima della sua fine.
Non ricordo esattamente il giorno ma erano le prime ore di un pomeriggio freddo e grigio. Soffiava un leggero tramontano tagliente, tipico della città
[Prato] dalle tante ciminiere. Fu in Piazza delle Carceri; lui veniva da Via Pugliese, con le mani in tasca del cappotto e il cappello scuro ben calzato in testa. Ci salutammo, sorrise come sempre, scambiammo qualche parola guardando la chiesa [Santa Maria delle Carceri di Giuliano da Sangallo
]; dopo un po' mi prese la bicicletta e, come un ragazzo ,fece più volte il giro della piazza deserta e ventosa. Quando si fermò e me la rese, battendo i piedi in terra disse: "Moviamoci, fa freddo." Attraversando Piazza San Francesco, andammo in Via Rinaldesca a salutare Zola, l'amico sarto. La sua bottega era il ritrovo di noi giovani antifascisti, presi dall'arte, dalla letteratura, dove si parlava anche di politica, di chi era in prigione, e in particolare di letteratura russa. Lasciai la bicicletta appoggiata al muro vicino allo sporto della bottega; e andammo, come tante altre volte, a girellare per la città silenziosa, discorrendo degli amici, del nostro lavoro e delle difficoltà materiali per potersi dedicare con più serenata alle cose dell'arte.
Avevamo la stessa età; e la vita militare da più di due anni & era alle nostre spalle. Quando lo salutai per tornare al mio paese, mi disse risoluto: "Ti accompagno per un pezzo di strada. Sono uscito di casa perché avevo bisogno di prendere aria... Mi sentivo in prigione."
Allungò il braccio destro e guardando le nuvole, tracciò nell'aria un mezzo cerchio. Camminava sul marciapiede, parlava e fischiettava, dondolandosi leggermente com'era sua abitudine. Prima di uscire dalla Porta Santa Trinità, mettendo la mano sul manubrio disse, senza guardarmi: "Anche se fa buio, vedo che ci hai il fanale a carburo." Appena fuori Porta, si tirò su il bavero del cappotto marrone, si abbottonò bene, infilò i pollici nelle tasche, e, accostandosi alla mia bicicletta, cominciò ad animarsi parlando della sua pittura e dei suoi problemi personali: i problemi dell'uomo più che del pittore. (Mi stupiva, perché non lo avevo pensato così introverso.) Erano tempi, quelli, in cui ti sentivi tutto ristagnare intorno, e le aspirazioni dei vent’anni ti apparivano sempre meno realizzabili. Parlava dei suoi sentimenti più intimi con abbandono, scoprendo la sua natura di grande fanciullo, la timidezza e le incontrollate reazioni che spesso sono caratteristiche degli artisti più autentici. Parlando delle sue letture, ti accorgevi che era un pretesto per raccontare di sé, per confidare a qualcuno i suoi timori, i dubbi più intimi, tutta la sua vita condizionata ai moti del sentimento, e quel suo tormento di sentirsi volta a volta diverso di fronte ad uguali situazioni: quasi cercasse di chiarire a se stesso certi stati d'animo e le sensazioni proprie della sua pienezza giovanile.
Malgrado tutto ciò, io pensavo che il suo grande amore per l'arte , e un leggero umorismo verso la vita fossero l'ancora di salvezza per quella sua natura inquieta e tormentata. Ci salutammo al buio.
Mi strinse forte la mano sorridendo, dicendomi: “Allora quando torni a Prato, suonami il campanello." Subito mi voltò le spalle. incamminandosi verso la città. Mentre accendevo il fanale, lo vidi perdersi fra i lumi delle tante biciclette degli operai che uscivano dalle fabbriche. Anche se, strada facendo, riflettevo su certe sue confidenze, ero ben lontano dal pensare che quella fredda serata sarebbe stato il nostro ultimo incontro e il ricordò più chiaro dell'amico,che poco tempo dopo avrebbe chiuso così tragicamente la sue. giovanissima esistenza.
Quinto Martini
(1986)


Ritratto di giovane, 1930


Teatro dei burattini, 1931

Natura morta, 1930

La Rissa, 1932

Autoritratto, 1926



A cura di Bruno Stepic
San Martino, 4 luglio 2009, San Procopio

P.S. Quinto Marini nasce a Seano, Firenze (oggi Prato), il 31 ottobre 1908 e muore nel suo paese il 9 novenbre 1990.
Checché possa aver scritto e detto successivamente, negli anni del suo presunto antifascismo se ne stava attaccato stretto stretto a Soffici, del quale "giustamente" beveva ogni cosa come oro colato... ma collaborava anche, nei modi grafici suggeriti da Soffici, con gradevoli xilografie al fascistissimo "Selvaggio" di Mino Maccari.

giovedì 2 luglio 2009

Un artista toscano


Il mulino, 1928






Oggi, a 104 anni dalla nascita, dedico una “pagina” a Pietro Bugiani, uno dei più originali e significativi artisti del Novecento toscano, e non solo. Purtroppo le riproduzioni di alcuni suoi dipinti assai belli, che propongo ai visitatori del blog, sono di pessima qualità.
Fu, Bugiani, un vero poeta del colore, che, in una incantata stagione (dal 1924 al 1930 circa), fece “vibrare” secondo la forte ispirazione che gli veniva dalle opere dei quattrocentisti. Più tardi mantenne sempre alta la qualità della sua pittura, improntata da una intensa “visione” poetica della natura e da un forte accento personale, che si venò, tuttavia sensibilmente, dei caratteri linguistici adottati da Soffici per raccontare il paesaggio toscano.
Propongo qui alcune righe di Gian Lorenzo Mellini, che ne presentò l’opera alla Mostra “L’arte Moderna in Italia, 1915–1935”, Firenze, Palazzo Strozzi, 1967.
Scrive Mellini:
Pietro Bugiani esordisce con uno stile nettamente archeologizzante (disegni in punta di lapis velati a tempera, 1924, con evocazioni da Andrea del Ca­stagno e Fra Bartolmeo), che lo individua chiaramente da Achille Lega, da Rosai, dei quali condivide il gusto per la rappresentazione del paesaggio ru­rale toscano e delle sue arcane misure, come dal Soffici, del quale ebbe ad adottare in seguito il liquido pittoricismo, e infine dal movimento di «Strapaese» e del «Novecento», colle cui frange ebbe poi a collegarsi. Se­guendo codesta personale sorgiva ricerca, dietro lo stimolo soprattutto let­terario della pittura metafisica, nel senso della scelta del silenzio e della concentrazione, Bugiani dipinge intorno al 1928 una serie di immagini si­lenti di Paese, bloccati in ore antelucane come intagli di pietre dure, di una intensità alta e segreta, quasi montaliana, che lo pongono tra gli esponenti significativi della pittura in Toscana.







Natività, 1928




Sera, 1928



Pomeriggio domenicale, 1928




Sera sull'aia, 1929





Tramonto sul fiume, 1929



Bruno Stepic
San Martino, 2 luglio 2009, S. Urbano

martedì 30 giugno 2009

clima "bipolare"






Sono senz’altro la maggioranza assoluta quanti sostengono che il bipolarismo costituisce un deciso passo in avanti rispetto al “mercato delle vacche” che il sistema proporzionale generava. E forse da codesto punto di vista può apparire necessario dar loro ragione. Ma la questione non mi pare sia definitivamente risolta una volta per tutte. E’ infatti nostro costume nazionale quello degli “innamoramenti”, salvo poi trovarsi ad affrontare repentine ed altrettanto irragionevoli inversioni di marcia. Ma l’amore, si sa, per sua natura è cieco ed irragionevole.
Io ritengo invece, pur non apprezzando punto i funambolismi ed i ricatti parlamentari operati dai partitini nella cosiddetta prima repubblica, che si debbano analizzare criticamente anche i difetti, molti ed evidenti, di questa pseudo panacea bipolare, a mio vedere una delle cause, forse anche la principale, dello stato di confusione e regressione culturale in cui versa la politica contemporanea nostrale e nell’insieme, in una sorta di perverso ping-pong, tutta la società di cui codesta è specchio e viceversa.
La questione “bipolare”, che si collega – decisamente – all’osservazione relativa alle “ideologie” (nell’ultimo post), mi pare meriti quindi una ulteriore riflessione. Ritengo infatti che – e mi permetto un esempio banale –, come per ciascuno di noi è necessario sapere dove si intende andare, allorquando si traggono gli abiti dall’armadio, anche nella gestione di uno Stato, per adottare provvedimenti normativi e strategie di governo, sia necessario (almeno) conoscere quali fini ci si prefigge di conseguire. A meno che non si intenda la gestione della cosa pubblica, una sorta di agnostica e puramente notarile gestione dell’esistente, indifferente ai bisogni reali, alle ligittime aspettative, a farla breve ai destini di milioni di persone. Insomma, forse è bene che non vi sia più la suggestione dei “modelli” ideologici: tutto sommato innaturali, limitanti ed inadeguate gabbiette all’interno delle quali si pretendeva di imprigionare tutta la realtà, ma non è certo bene che di contro si sia precipitati nel nulla, e che i cittadini di questo Stato non riescano manco ad intravedere un’idea, un progetto del proprio futuro in cui credere, su cui poggiare le proprie speranze, per la quale giustificare i propri sacrifici o per realizzare il quale mettersi con nuova lena al lavoro fiduciosi. Un fine, insomma, che in certo qual modo, al pari delle ideologie, ancorché assai più blando, certo meno ottuso, schematico e unilaterale, inducesse gli uomini a superare il proprio ristretto interesse particolare in funzione di qualcosa di più nobile ed alto.
Il fatto che mi inquieta di più, che più turba il mio senso civico e sociale, è infatti questa eccessiva tendenza alla divisione, alla frammentazione, all’individualismo; questo inespresso ma quotidianamente praticato pensare solo al proprio tornaconto, ad arraffare alla svelta quanto più possibile in un clima di qualunquistica indifferenza, in questa condizione da “o Franza o Spagna, basta che se magna”. Insomma, paradossalmente una situazione che pare proprio una conseguenza di quell’assetto politico bipolare che la frammentazione (quanto meno parlamentare) al contrario voleva ridurre. Insomma, mi sembra che si stiano acuendo i mali che scaturirono proprio, forse per reazione, dal “fervore” partecipativo degli anni ’70 ed ’80, che, a petto degli infiniti comitati, come risultato produsse addirittura l’indifferenza fra vicini di casa, o estrema conseguenza, l’eccessivo individualismo che denunciamo.
Così oggi che, per tutto, e addirittura nei partiti (i quali in quanto già “parte” dovrebbero accomunare al loro interno persone che intendono perseguire i medesimi obiettivi) è divisione e lotta, frammentazione personalistica, come accade in certi casi di naufragio, quando ciascuno cavate le scarpe annaspa sgomitando qua e là, incurante di altro che non sia la propria salvezza, che non sia il proprio interesse immediato (salvo rarissime eccezioni peraltro al solito confermative della regola).
E’ un fatto che nel sistema bipolare la parte centrale dell’elettorato, cosiddetta moderata (da noi in modo anomalo occupata tradizionalmente da elettori di ispirazione cattolica), sia determinante alla formazione delle maggioranze elettorali, va da se quindi che gli opposti schieramenti, di necessità, scolorano sempre più le propri impostazioni (fino a perdere ogni residuo connotato ideologico, fino a scopiazzare perfino i programmi) per accattivarsi il consenso di codesta esigua, eppure determinante area elettorale (la quale peraltro, essendo sensibilmente connotata da “ideologia” religiosa, costringe ambedue gli schieramenti ad atteggiamenti quanto meno ambigui sul piano della laicità dello Stato – ma questo certo è ancora altro problema –). Così è che le differenze non sono più punto di sostanza. Come accade in certe gelaterie, una stessa base viene diversamente variegata a seconda dei gusti del cliente. Questo finisce con lo spostare il problema dalla sostanza all’apparenza, all’effimero piacere del gusto, o dell’olfatto, o della vista... E la lotta non è più finalizzata alla realizzazione di un modello, al conseguimento di obiettivi o ad un progetto, ma alla mera conquista della gestione del potere da parte di opposti clan di una medesima casta. Proprio come accade fra le famiglie camorristiche del napoletano.
Così è che com’è successo nell’ultima tornata elettorale, nessuno sente più parlare di questo o quel contenuto, ma, avendo più o meno tutti preso atto che il mondo che circonda vive principalmente di “immagine”, che tutto o quasi si basa sull’immagine, che tutto o quasi è “virtuale”, inconsistente, lontano ed effimero, la lotta si incentra quasi esclusivamente sulla demolizione dell’immagine dell’avversario. Così mi pare stiano le cose, peraltro sotto gli occhi di tutti. Una situazione, un quadro politico, un’offera, che par quasi tagliata con l’accetta da un boscaiolo incapace. Una situazione “grossolana” dove se il Pd ti pare troppo poco agguerrito finisci nella padella del sanculotto di turno, o nella macedonia delle farneticazioni su un mondo che non c’è più; se al contrario ti pare troppo moderato il Pdl o non ti gusta il Cavaliere non ti resta alternativa che affidarti a Bossi, a Borghezio a Calderoli. Salvo poi non optare per quel pierino-pretino-bravino che aspira a rifare la vecchia Dc, con tutti i danni che codesto comporterebbe. Ma purtroppo il troiaio bipolare, a codesto finirà per portare (dopo il congresso di settembre infatti, se il Franceschini sarà minoritario, la sua componente non avrà alternativa: o accettare tinte più accese finalizzate ad un “recupero” dell’elettorato assorbito dall’Idv, o tornare all’ovile assieme a Casini. Ma non divaghiamo.)
Ho più volte sostenuto, infatti, in questo blog, l’assurdità delle innaturali “ammucchiate” che hanno visto condensarsi forze da una parte e dall’altra che nulla hanno a che spartire come patrimonio culturale e politico: Peppone e Don Camillo, ovvero preti e mangiapreti, ovvero, dall’altra parte: ex missini, ex socialisti, ex democristiani, ex radicali, ex repubblicani… Delle immangiabili “marmellate” il cui ingrediante principale, ove – a livello più “alto” – non sia il potere e la gestione del carrozzone ad esclusivo beneficio di parenti, amici, amici degli amici, mariti della amanti da tenere buoni ed impegnati... – a livello dell’elettorato – è l’odio instillato ad arte nei confronti dell’avversario, la cui demolizione pare essere l’unico vero impegno di politici, editori, pennivendoli ed “intelligentissimi” radical-chic da salotto buono. Laddove, come in tutti i momenti di crisi, occorrerebbe rinsaldare legami e coesioni interne e – so di apparire assai ingenuo –, remare tutti dalla medesima parte. Invece, come si è visto, perduta per strada ogni colorazione ideologica, ogni residua permeazione filosofica ed annullate progressivamente le differenze fra gli opposti schieramenti, in assenza di progetti politici chiari, differenti e ben riconoscibili, le diversità che permangono attengono poco più che la sfera dell’opinione. Anzi a farla da padrone nel più generale e nefasto disorientamento, sono il gossip e la maldicenza.
Si tratta purtroppo di ben più che segnali preoccupanti di un declino morale e civile che va "tingendo" ogni cosa; in una situazione così complessa, in un atmosfera così irrespirabile che anche le forze sane, che pure vi sono, risultano così annichilite a non essere capaci di coagularsi e spazzare via questa marmaglia di politicanti incapaci, di assoluti mascalzoni, meritevoli, come scrivevo qualche giorno fa, di essere presi soltanto a calci nel culo.

Bruno Stepic

San Martino, 30 giugno 2009, SS. Primi Martiri

venerdì 26 giugno 2009

non ho nulla da dire







So che in molti hanno visitato questo blog attendendosi da
me un qualche commento sulle ultime vicende scandalistico – elettorali. Non ho nulla da dire. Gli sciocchi non capirebbero comunque neppure la semplice perplessità, e gli intelligenti hanno, appunto, in quanto tali, gli strumenti necessari per intelligere in quanto accade e farsene un adeguato concetto.
Io, sottovoce, quasi in un borbottare fra me e me come fanno certi vecchi, perché non è più tempo ormai di gridare al vento la propria incazzatura, ritengo che il pensiero debba proiettarsi in avanti, molto in avanti, e, come è stato in tante altre epoche, sforzarsi di progettare l’Italia futura, che però personalmente, al momento, malgrado gli sforzi non riesco nemmeno a intravedere. Anche se ritengo fortemente che qualcosa debba essere fatto, che qualcosa (tutto o quasi) si debba cambiare. Perché, delle due una: o si rinunzia definitivamente alla civiltà accettando l’anarchia, la barbarie, oppure occorre ripristinare un sistema di regole, che siano certe, fortemente e il più largamente possibile condivise (almeno da quanti hanno interesse a che un futuro di civiltà possa ancora esistere), non foss’altro per non finire di mandare in malora ciò che ci è stato lasciato in eredità.
Si è sentito dir bene della morte delle ideologie. Sono perplesso: meglio le ideologie (con tutto quello che di pericoloso si portavano appresso) di questo mefitico, demenziale nulla; di questa dilagante gangrena, di questo trionfo dell’imbecillità, di questo primato dell’opinione in cui il pensiero più “alto” (ammesso che uno possa esservene) affoga, vanificato, annullato dal numero esorbitante di sciocchezze e banalità quotidiane. Quando trionfano, come oggi accade, il tutto e il suo contrario, e si annullano reciprocamente com’è naturale, a tutti i livelli, in tutta e per tutta la società, non resta più nulla da dire. Non resta che cercarsi un canto, vicino al fuoco, e tacere. E attendere. Del resto, basta pensare con un po’ di attenzione: il nodo è aggrovigliato, troppo. Non si riesce a vedere il modo di districarlo, di venirne fuori. Un tempo (di gente seria e sanguigna) pensavano le rivoluzioni a tagliare codesto nodo, a fare tabula rasa e ricominciare tutto da capo. Ma noi oggi non crediamo più neppure a quelle, perché abbiamo imparato che di nuovo trionfano i furbi; che come al solito pagano i “giusti” per i peccatori; pagano i “bischeri” che passavano di lì per caso e guarda caso i loro aguzzini (sempre i cerca di un capro espiatorio che possa sostituirsi a loro) son proprio quelli contro i quali la “rivoluzione” aveva preso il via. Tant’è!
Epperò di codesta rivoluzione si sente il bisogno. Una ideale rivoluzione in cui le persone serie ed oneste (e fortunatamente in giro ve ne sono ancora molte), quelle per intendersi che auspicano, anzi vogliono fortemente realizzare il bene della società, presi per l’orecchio ed accompagnati a casa a forza di ripetuti calci nel culo gli attuali politicanti, i vari mestatori dell’una e dell’altra parte, e di quell’altra ancora, sospendano temporaneamente tutte le discussioni su problemi e soluzioni che potrebbero divederli, per mettersi d’accordo e riscrivere, se del caso, le regole del “gioco”. E’ infatti l’ora di smetterla con l’attuale cialtronesco equilibrio su cui “destra” e “sinistra” – tanto per semplificare –, si reggono, costringendo i cittadini a mangiare merda ogni giorno pur di non rivedere in giro le facce degli uni o degli altri, in una situazione grottesca fino al parossismo, dove chi si sdegna ora degli uni ora degli altri, chi ancora sente in sé ribollire i singulti dell’incazzatura, finisce nelle grinfie del giustizialismo sommario del Robespierre di turno o, che poi è la stessa cosa, fra le braccia di quel rozzo tribuno delle plebi che vorrebbe prenderci per il culo con i suoi riti dell’ampolla (…). Ecco a cosa porta la “disperazione”. Qualcuno potrebbe obiettare che il panorama è incompleto, che le opzioni sono molteplici, variegate. E’ vero: ho dimenticato Pancio Pardi, la Carithas e giù di lì. Perdonate! E il germe interno, della divisione, che ci portiamo nel sangue da secoli, non ci aiuta a punto a trovare quella univoca volontà, ancorché temporanea, che sarebbe necessaria ad uscire dalla crisi.
Amici cari, non siamo messi punto bene! E più si guarda con attenzione, più si cerca di comprendere, peggio si finisce con lo stare: viene quasi da mettersi a correre istericamente all’intono, per tutto, cercando, come il topolino, una via di uscita che non c’è. Sono eccessivamente pessimista? No, il non esserlo mi rattrista ulteriormente. E credetemi anzi, da tempo ho smesso il costume mentale dei giovani, che riducono tutto ai tratti contrastati della xilografia, nella quale quello che non è bianco deve di forza essere nero. Ho compreso con esperienza, ragione, volontà, anche forzando l’istinto semplificatore, che tutto ha da essere su scale di grigio. Solo ai fiori ed a poche altre cose è consentito accendersi altrimenti. E’ solo che il tempo stringe, ed ogni buon padre vorrebbe lasciare ai figlioli tutte le cose sistemate ben bene, a modino, come si dice, e qui, invece non vi è altro che il timore che i figlioli si scannino l’un l’altro, e finiscano col mandare in malora ogni cosa. Non il troiaio che gli lasciamo noialtri, ma tutte le cose belle e sante che indegnamente ci furono lasciate.

Bruno Stepic

San Martino, 26 giugno 2009, S. Virgilio

martedì 2 giugno 2009

Giorgio Morandi

Giorgio Morandi - foto di Herbert List











Accontento un amico proponendo sul blog alcune opere del pittore bolognese Giorgio Morandi.
Alcuni lo accusarono di dipingere le mutandine della serva: certo per scegliere una simile lingerie dova trattarsi di una ragazza assai raffinata, educata nella migliore società... Ma probabilmente codesti "detrattori" malignetti dovevano prediligere una pittura più sanguigna, virile...
Morandi invece dimostra con chiarezza ed insegna come col "nulla" possano farsi dei veri capolavori. Certo considerati tali nel circoscritto hortus del Novecento