venerdì 30 gennaio 2009

“Questa nostra casa”

“questa nostra casa comune” di Daniele, 28.01.2009
http://www.forumpolitico.org/viewtopic.php?f=22&t=1352&p=9611&sid=d5754f952718029e7d527e179d2083ba#p9611




Caro Daniele,
tu scrivi “questa nostra casa comune” ed io credo che “una casa comune ci sia”, davvero. Deve esserci. E allora io credo che tutti noi si debba fare uno sforzo, certo uno sforzo non piccolo, per riuscire a vedere oltre noi. Non intendo quel vano guardare verso il futuro per scoprire cosa sarà di noi, delle nostre famiglie, dei nostri affetti. No. Non intendo punto quello. Intendo invece un guardare che riesca ad attingere una “visione” che sia oltre il contingente: oltre quel transeunte della cronaca, della micro storia quotidiana che pure ci avvince e ci prende, che ci stimola ad intervenire dicendo la nostra, cercando di affermare la nostra (inevitabilmente) circoscritta visione delle cose e del mondo, fiduciosi di aver individuato se non la fine, gli effetti, almeno le cause. Tutto giusto, Daniele, tutto più che legittimo, umano, comprensibile, apprezzabile anche. Segno che quello che succede al nostro Paese, a questa Nazione, all’Italia, ci sta a cuore. Segno che non pensiamo solo al nostro piccolo “particulare” di guicciardiniana memoria.
Dobbiamo fare uno sforzo, dobbiamo guardare oltre: qual’è in sostanza questa nostra casa comune? A me piacerebbe che tutti assieme ci industriassimo ad individuarne i connotati, i caratteri attuali. Altrimenti rischiamo di credere di pensare e parlare della medesima cosa, quando invece della medesima cosa non si tratta. (Quando addirittura non corri il rischio, se esprimi una semplice idea, la tua idea, che non piace, corri il rischio quasi di essere lapidato: in casa tua, o anche tua! Eppure tu parli di casa tua, di come la vedi, di quello che pensi... di un interesse che non è solo il tuo... Semmai del modo di farla essere migliore, questa casa!) Ma non divaghiamo.
E oggi ancor più di sempre c’é bisogno di ciò, oggi che stiamo quasi per essere fagocitati da questa specie di poltiglia informe che è la globalizzazione, proprio oggi che il nostro volere, anche qualora fosse univoco, condiviso, di Popolo, di Nazione, ben poco potrebbe nel sistema complesso delle relazioni internazionali all’interno delle quali è necessario essere ed agire, per sopravvivere.
È assai singolare che in un mondo in cui molti (anche connazionali) si stracciano le vasti in nome della tutela dell’identica culturale e linguistica delle tribù dell’Amazzonia, di quanto resta degli Indiani d’America, dei Popoli dell’Africa, del loro genocidio... (si è fatta anche una guerra per la Bosnia) Nessuno rifletta non dico sulla tutela, ma quanto meno sulla definizione della nostra identità culturale, che rischia di finire divorata fra gli hamburger di Mc Donald e i kebab marocchini, o linguisticamente sciacciata tra il vezzo dello shopping e l’esigenza di un meeting sul marketing o sul gossip.
Dicevo la sostanza: abbiamo dato per scontato che una casa “comune” ci sia, ora occorre definire che cosa sia. Non credi? E questo qualcosa, non consiste nella somma dei dati oggettivi che costituiscono l’oggetto più vasto (come un magazzino ed il suo contenuto), i quali stanno in bella evidenza sotto gli occhi di tutti, bensì ciò che ad essi va oltre, ovvero l’idea che noi abbiamo, una sorta di “gestalt” immediata e profonda, che possiamo condividere oggi, della nostra Italia. Insomma: c’è, e allora se c’è, che cos’è.
Ora io posso cercare di dire che cosa è per me. Ma vorrei poter ascoltare cosa essa è e rappresenta per gli altri. Questa entità ideale – spirituale –, che vedrà scorrere e finire le esistenza dei Berlusconi, dei Fini, dei D’Alema e ancora dei Di Pietro e Veltroni. E che se lo vorremo, se sapremo insegnarne l’amore ed il sentimento sarà ancora lì, per secoli! Un’idea, una visone, che io colgo nelle nostre belle città, nei nostri monumenti, negli artisti, da Giotto a Michelangelo, a Tiziano, a Veronese a Tiepolo, nelle loro biografie... Nel disegno del paesaggio friulano, o toscano, o nelle ascetiche colline dell’Umbria, o nelle storiche rovine di Aquileia, Roma, della Campania... Nella scienza di Leonardo e Galilei, di Marconi e Fermi. Che ritrovo nelle pagine della nostra letteratura, nella poesia di Dante, del Petrarca, nel sogno politico di Machiavelli, nel Beccaria, nell’Ariosto, nel Manzoni; nelle belle pagine della nostra storia da Francesco Ferrucci a Giuseppe Garibaldi, per non dire di Ugo Bassi, di Pietro Maroncelli, del Pellico... O nella biografia e nell’opera di Antonio Canova , dell’Hayez,... Nel pensiero filosofico da Marsilio Ficino e attraverso tutto il Rinascimento in Bruno, nel Vico fino a Croce e Gentile...
Come vedi, un elenco appena accennato e pressoché infinito, e già nell’elencazione quasi noioso. Sul quale, si dirà, è addirittura impossibile non convenire, e pure che della famosa triade definisce solo il “da dove veniamo”. Ora a mio modesto vedere resta da definire il “chi siamo” noi oggi e se non potremo stabilire il “dove vogliamo andare”, dovremo almeno cercare di definire che cosa dovremmo cercare di essere per continuare coerentemente codesta esistenza ed essenza storica che condividiamo.
Ora io mi rendo conto che sto chiedendo molto, a me stesso per primo, dato che sono consapevole della complessità, infinita molteplicità, interazione col circostante (anche lontano geograficamente) che il “contemporaneo” rappresenta per tutti. Epperò ritengo che si debba tentare di risalire almeno di qualche ramo, almeno per comprendere su che tipo di albero ci troviamo.
Cordialmente,

Bruno Stepic

San Martino, 30 gennaio 2009

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